Il male in persona
Metà uomo e metà animale: è la classica raffigurazione del maligno.
Tuttavia ne esistono infinite altre, compresa quella che lo vede nei panni di un gatto.
Il mondo dell’immaginario
Non è possibile comprendere l’uomo medievale senza considerare l’inverso del mondo dei vivi: il quaggiù, nel Medioevo, non si concepisce senza l’aldilà. E nell’aldilà un posto rilevante è occupato dall’inferno. La rappresentazione più frequente dell’inferno è la gola del leviatano, il mostro che apre le sue larghe fauci per inghiottire i dannati.
L’inferno appare come una potenza animale, divoratrice e ostile. Nell’agitarsi delle fiamme e dei serpenti, i demoni si danno da fare con forconi e altri attrezzi. Fra i dannati, ammucchiati in maniera confusa o messi a bollire in un grande pentolone, si riconoscono spesso re e vescovi, ma anche figure come l’avaro, con la borsa attorno al collo, e la lussuria, morsa al seno e al sesso da serpenti e da rospi. L’inferno è il regno del vizio e del disordine. La più compiuta e affascinante descrizione medievale dell’inferno è probabilmente quella che ci offre Dante Alighieri nella sua Divina Commedia. Nel poema il regno dei dannati è descritto come un imbuto immenso, una spaventosa voragine che termina al centro della Terra, dove è conficcato Lucifero, orribile mostro a tre teste, scagliatovi dopo la sua ribellione a Dio.
Un angelo blu
Con un corpo umano o animale, le corna, la coda, le ali, gli artigli, ma anche con gli zoccoli o un unico corno al centro della fronte: in questi e in infiniti altri modi – perfino dissimulato sotto le vesti di un monaco – è stato raffigurato il diavolo nel corso dei secoli. Questo perché il diavolo è per propria natura costituito da un corpo aereo che può assumere forme diverse e aspetti svariati per confondere l’uomo: a volte terribile e mostruoso, talora suadente e subdolo. In origine l’iconografia cristiana raffigurò il diavolo alla maniera di un angelo: come una figura blu appare ad esempio in un mosaico del VI secolo nella chiesa di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna che rappresenta la parabola della divisione delle pecore dai capri, descritta dall’evangelista Matteo.
Il mosaico ravennate si basa sull’idea di “angelo caduto” e sull’antica interpretazione dei colori rosso e blu: la figura rossa è composta di luce e di fuoco, quella blu invece di aria, a indicare il luogo delle tenebre, tipico degli spiriti maligni.
Una creatura mostruosa
Successivamente, a partire dal XII secolo, prevalse un altro modo di raffigurare il demonio legato all’immagine che ne davano gli antichi: il cosiddetto “tipo satiro”, quello che ancora oggi è per il mondo occidentale “il diavolo”: una creatura dall’aspetto umano cui sono attribuiti corna, coda e zoccoli (o artigli). Altri segni distintivi importanti sono le orecchie animali, il pelo arruffato, la barba caprina.
La presenza degli artigli si spiega con la consuetudine del diavolo di afferrare, ghermire e tenere strette le anime, funzioni alle quali ben si adattano le unghie acuminate degli uccelli predatori.
Il busto può anche essere rivestito di scaglie, analoghe a quelle di insetti ripugnanti oppure risultare caratterizzato da ”seni cadenti“, immagine questa di provenienza orientale. Spesso, a partire dal XIII secolo, i demoni sono anche “gastrocefali”, presentano cioè un ulteriore volto sul ventre non meno spaventoso dell’altro. Questo tipo di immagine si diffonde con variazioni: la ripetizione dei volti interessa le zone impure (sesso, cosce, petto) o le articolazioni (gomiti, spalle, ginocchia). Questa tendenza, mentre rafforza la mostruosità del diavolo, rende nota la sua bestialità per mezzo dello spostamento della testa, sede dell’intelligenza, verso le parti oscene del corpo.
Nel corso del Trecento si delinea ancora un nuovo tipo di immagine, quella del “diavolo tentatore”, che assume un travestimento devoto nel tentativo di confondere e di non essere riconosciuto nella sua mostruosità. Ma, per informazione dello spettatore, dall’abito fuoriescono attributi diabolici quali gli artigli o la coda.