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Economia e storia
L'età delle illusioni - Introduzione Milano 1881: con l'Expo nasce l'Italia industriale

Milano 1881: con l'Expo nasce l'Italia industriale


L'autore
Guido Lopez

Guido Lopez (1924-2010) è stato scrittore e giornalista. Ha pubblicato numerose opere su Milano in vari momenti storici, come La roba e la libertà (1982), Moro! Moro! (1992), Storia e storie di Milano (2005).

La grande fiera rappresentò il primo miracolo economico di un Paese con enormi sacche di arretratezza. Nello sviluppo industriale italiano era però evidente un punto debole: la carenza di fonti d’energia e di materie prime.

L’Esposizione è aperta

«In nome di Sua Maestà il Re dichiaro aperta l’Esposizione». Con queste parole di rito il ministro dell’Agricoltura, Industria e Commercio, Miceli, inaugurava solennemente l’Esposizione Nazionale di Milano del 1881.

Era l’una precisa del 5 maggio. Il re Umberto I «pallido e fiero», la regina «rosea e sorridente», si alzarono dal trono e accompagnati dalle autorità si avviarono verso i padiglioni. Mentre le bande intonavano l’inno reale – come raccontano i cronisti dell’epoca – venti salve di cannone facevano tremare i vetri della città e venivano a sottolineare un avvenimento che segnava per l’Italia una nuova epoca.

Umberto I era da appena tre anni sul trono. Gli Italiani erano in tutto quasi 20 milioni, di cui circa il 60% ancora analfabeti. Ma il futuro, il progresso, sembrava bussare alle porte.

Nel manifesto dell’Expo si dichiarava la necessità di un’esposizione nazionale che rendesse onore alle potenzialità economiche delle varie regioni d’Italia.

La mostra rimase aperta per sei mesi consecutivi; i visitatori furono più di un milione, con punte di 25.000 ingressi giornalieri.

Fu un evento davvero memorabile: l’Italia era uno Stato indipendente da vent’anni e aveva completato la sua unità da dieci; era un Paese da costruire e la grande fiera di Milano rappresentò il primo miracolo economico di una nazione con enormi sacche di arretratezza industriale e culturale. Per la prima volta l’Italia unita si guardò allo specchio: ecco che cosa vide.

L’etichetta da attaccare sulle valigie dei visitatori con la pubblicità ufficiale dell’Esposizione Universale disegnata da Leopoldo Metlicovitz, 1906. Milano, Officine Giulio Ricordi & C.

I numeri e i nomi dell’Expo

Gli espositori del nucleo centrale della fiera, dedicato all’industria, erano suddivisi in 11 gruppi e 66 classi; furono in totale 7.000 e la maggior parte proveniva dalla Lombardia. La Toscana mandò 835 rappresentanti e il Piemonte 685. Per ultime si piazzarono Calabria e Basilicata, con 30 e 2 espositori.

Moltissimi furono gli stand dedicati alla giovane industria delle macchine e della meccanica in genere. I visitatori poterono ammirare il gigantesco stand della ditta Elvetica, futura Breda, che produceva motrici e grandi macchine utensili; quello dell’Ansaldo, della Fratelli Orlandi, della Fonderie Pignone.

Il pubblico scoprì che l’Italia era una proficua produttrice di locomotive e vagoni ferroviari, vascelli, pompe e argani.

Il settore chimico stava facendo i primi passi, ma a Milano esposero già i loro prodotti la Carlo Erba, la Zambeletti (l’azienda del chinino di Stato) e la Pirelli, che produceva al momento un nuovo materiale, il cautchouch («caucciù»), e ne illustrava agli osservatori i diversi impieghi. Würher, Poretti e Metzger mostravano al pubblico le diverse lavorazioni della birra, mentre Branca, Bisleri e Buton offrivano amari e digestivi.

Un enorme reparto era occupato dalla Fratelli Bocconi e dalle loro pregiate confezioni tessili; per l’abbigliamento di lusso esponevano anche Frette, Jesurum e Borsalino. Queste erano solo alcune tra le più note aziende che animarono l’Expo del 1881, ma avrebbero comunque consentito a un visitatore attento di comprendere un dato, fra tanti entusiasmi. L’Italia si avviava sulla strada dell’industrializzazione con un «vizio d’origine»: la carenza di fonti di energia e di materie prime. Quindi la «naturale» dimensione dell’industria italiana sarebbe stata quella piccola e media. La grande industria si sarebbe affermata con difficoltà.

Manifesto pubblicitario della ditta Zenit- Borsalino del 1910. Milano, Collezione privata.

Spettacoli e lotterie

L’inaugurazione della fiera fu vissuta con grande euforia per le strade di Milano: eventi culturali e mondani si susseguirono per tutta la settimana d’apertura. Il Teatro alla Scala, la sera del 6 maggio, diede una rappresentazione del Ballo Excelsior, al cospetto del re e della regina; il 25 maggio debuttò la nuova versione del Mefistofele di Boito: il successo fu trionfale e coprì l’onta del sonoro fiasco di tredici anni prima.

Al piano terra del palazzo del Senato fu allestita la Mostra Artistica, dove circa 1700 opere vennero messe in vendita a beneficio della Società di Belle Arti. Il gusto dell’epoca preferiva le immagini bucoliche, le imitazioni dello stile romano ed etrusco e le fantasie medievali. I critici di oggi sostengono che in mostra non vi era altro che paccottiglia, ma vi si poteva ammirare il monumento equestre a Napoleone III del Barzaghi e un grande olio del Fattori; quasi assenti i giovani artisti, era invece presente l’arte di maniera e l’oggettistica.

Il divertimento popolare trovò soddisfazione nella grande lotteria a premi: furono venduti ben 2 milioni di biglietti. In palio c’erano cinque cubi d’oro massiccio esposti al centro della sala dell’oreficeria e un migliaio di premi minori: oggetti artistici e vari ammennicoli. All’interno dello spazio espositivo vennero allestiti bar, ristoranti, punti di ristoro e ampi spazi per il riposo nel verde del giardino pubblico.

Il manifesto della Mostra del ciclo e dell’automobile del 1907 testimonia la diffusione dei veicoli a motore su larga scala.

I commenti

I giornali parlarono della fiera in termini lusinghieri: il «Gazzettino Rosa», di impostazione radical-repubblicana, la definì «la grande festa del lavoro italiano»; «L'Illustrazione Italiana» scrisse che l’esposizione milanese ripagava la nazione dello smacco che aveva dovuto subire in Tunisia, cedendo il passo ai Francesi. Tuttavia, non tutte le voci furono entusiaste dell’Esposizione. Camillo Boito lamentò l’assoluta mancanza di stile delle architetture espositive, sbeffeggiando i padiglioni a forma di pagoda, di tempio greco o di isba russa. Gli amanti del buon gusto lamentarono l’eccessiva rumorosità degli ambienti e gli insopportabili miscugli di odori che ne promanavano: gli stand dei profumi esotici non erano distanti da quelli dei prodotti alimentari. Per sei mesi quotidiani e periodici di tutta Italia non parlarono d’altro che degli avvenimenti milanesi, incoronando Milano quale «capitale economica» d’Italia. Un ruolo che non avrebbe più abbandonato.

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