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Psicologia e storia
Così seducevano le folle - Introduzione Psicologia delle masse e analisi dell’Io - Freud 1921

Psicologia delle masse e analisi dell’Io - Freud 1921


L'autore
Giuliana Proietti

Giuliana Proietti - Psicoterapeuta, collabora con diverse testate giornalistiche. Fra gli scritti: La timidezza: conoscerla e superarla (2002), L’empatia: percepire le emozioni altrui (2003); Come vivere bene, anche se in coppia (2016), scritto con Walter La Gatta.

Già Gustave Le Bon con il saggio pubblicato nel 1895, Psicologia delle folle, aveva analizzato il rapporto tra le masse e gli agitatori politici.
Nel 1821 è proprio Freud ad approfondire lo stesso argomento individuando l’anima passionale delle folle incline ad innamorarsi del dittatore di turno.

Nel 1921 Freud pubblicò un libretto, di circa cento pagine, chiamato Psicologia delle masse e analisi dell’Io. Era quello un periodo di grave crisi economica e un periodo in cui stavano nascendo le lotte operaie organizzate, le grandi ideologie, le dittature. In Austria si assiste agli effetti della disgregazione dell’Impero asburgico, avvenuta alla fine del 1918; in Italia nascono il Partito Nazionale Fascista e il Partito Comunista Italiano, mentre in Germania Adolf Hitler diventa leader del Partito nazionalsocialista tedesco.

​​​​​​​Stalin al Gran teatro di Mosca
Il disagio di Stalin a parlare in pubblico

Freud cominciò ad interessarsi sempre di più ai comportamenti delle masse, affrontando i temi sociologici in chiave psicoanalitica. Prendendo spunto dal testo di Gustave Le Bon, Psicologia delle Folle, Freud cominciò a riflettere sulla psicologia collettiva, cercando di dimostrare che i fenomeni che regolano la vita di gruppo non sono poi così lontani dalle scoperte psicoanalitiche relative ai processi individuali. 

Vi sono anzitutto due tipi di masse: quella occasionale, transitoria, non organizzata e quella organizzata (e dunque “artificiale”), che proprio per questo è destinata a durare di più nel tempo (un esempio ne sono la Chiesa e l’esercito).

Il disagio di Stalin a parlare in pubblico

In questa immagine vediamo Stalin parlare in pubblico. È noto che già prima della rivoluzione d’ottobre, Stalin si sentiva a disagio quando doveva presentarsi nelle fabbriche, nelle caserme o alle manifestazioni di piazza. Con il tempo imparò a controllare questa difficoltà, ma non diventò mai un grande oratore. Stalin parlava lentamente, quasi con fatica, aveva un forte accento georgiano e un tono monocorde. I suoi discorsi erano schematici, caratterizzati da una struttura a domanda e risposta e da frequenti ripetizioni. Tutto ciò, però, suscitava grande impressione negli uditori e veniva giudicato come un segno di grande saggezza.

D’altra parte, negli anni Trenta il dittatore si mostrò sempre più raramente alla popolazione, poiché aveva capito che in questo modo le sue apparizioni acquistavano valore. Tutto contribuiva a creare il mito attorno alla sua figura.

​​​​​​​Stalin al Gran teatro di Mosca

Stalin parla della nuova Costituzione al Gran teatro di Mosca, l’11 dicembre 1937.

L’ “anima della massa” viene dunque descritta come elementare e passionale, incline alle illusioni, essendo il SuperIo temporaneamente accantonato, a vantaggio di un legame di tipo quasi ipnotico, che fa scatenare le pulsioni, perdere lo spirito critico, sentire un senso di onnipotenza e di impunità. Gli individui che fanno parte di una massa perdono dunque autonomia ed equilibrio, ma acquisiscono la sensazione di essere forti, in quanto parte di un tutto organizzato, che rassicura e protegge.

La massa è mutevole, impulsiva, irritabile ed, essendo governata interamente dall’inconscio, non tollera alcun indugio fra il desiderio e la realizzazione di quel desiderio: il suo anelito però non dura mai a lungo, perché la massa è incapace di volontà duratura. Del resto, niente di tutto quello che fa la massa è premeditato. L’individuo nella massa vive dunque una regressione narcisistica, con la scomparsa di tutte le inibizioni individuali, a favore di istinti, buoni e cattivi, ormai del tutto fuori controllo. Non è raro che la massa compia atti crudeli, come il linciaggio, ma anche gesti di generosità estrema, superando anche i limiti imposti dalla necessità di autoconservazione.

Mussolini
La mimica teatrale di Mussolini

La mimica teatrale di Mussolini

Notate la mimica, ovvero i gesti, i movimenti del corpo e il mutare dell’espressione del volto di Mussolini nella sequenza di queste immagini: osserva la folla, alza la voce e allunga il braccio, poi si sofferma a meditare su quanto detto, infine guarda in alto, verso il luminoso futuro che attende l’Italia, ed esce di scena. Lo stile e il modo di atteggiarsi nei discorsi vennero copiati da Gabriele D’Annunzio: un grande trascinatore di folle, come dimostra l’impresa di Fiume. Un modo di comunicare teatrale che a noi oggi appare francamente ridicolo, ma che all’epoca giungeva al cuore della gente.

Mussolini

Ogni individuo rinuncia al suo “ideale dell’Io” per trasferirlo sul suo Leader: la prima identificazione la si ha con il leader, che simbolizza il gruppo e lo dirige. Si tratta di una identificazione narcisistica: una parte di sé, il proprio Ideale dell’Io, viene sostituito dall’Ideale dell’Io del Leader (e da qui la riduzione dell’individualità e dello spirito critico, in quanto l’ideale dell’Io del capo diventa l’Ideale dell’Io di tutti, cancellando le differenze e le rivalità a favore di un sentimento di identità e di comunione). Ciascuno è legato al Capo da un legame d’amore e si aspetta che anche il Capo lo ricambi con lo stesso amore. Il segreto del Capo è dunque nell’Eros, che “tiene unite tutte le cose del mondo”.

Hitler
La gestualità visionaria di Hitler

Essendo negata l’ambivalenza, l’idealizzazione del Capo in realtà maschera l’odio, l’invidia, l’aggressività, che vengono proietti sugli avversari e su quanti, all’interno del gruppo, non si identificano completamente con il Leader. A questo proposito, va anche considerato che le “piccole differenze” vengono narcisisticamente sovrainvestite e diventano grandi differenze: in questo modo il dissidente del gruppo può diventare più nemico del nemico stesso, in quanto mette a repentaglio l’unità del gruppo. Il sentimento sociale sta dunque nella trasformazione di un sentimento precedentemente ostile in un attaccamento positivo, sotto forma di identificazione.

Accade, secondo Freud, un qualcosa di molto simile anche nell’amore: in fondo anche due persone possono essere considerate un gruppo, un piccolo gruppo, (una “folla a due”) e, quando si innamorano, vivono la stessa condizione di suggestionabilità, tipica delle masse.

Fonte: G. Proietti, in D. Bourdin, Cento anni di psicoanalisi, Dedalo

La gestualità visionaria di Hitler

I discorsi di Hitler non erano dei ragionamenti, miravano a suscitare emozioni. Più ancora di Mussolini, parlava al cuore, non al cervello. Era più drammatico. Mentre Mussolini si presentava come un uomo concreto, Hitler era il visionario, colui che «vede» dove gli altri non vedono. E pareva – come scriveva il giornale ufficiale del Partito Nazista, il «Völkischer Beobachter» – «una stella che illumina la notte della crisi e mostra al popolo tedesco il suo cammino di luce».

Hitler
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