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Lo stile del potere - Introduzione Giolitti, l’uomo dalle mille sfaccettature Atatürk, lo zar della mezzaluna

Atatürk, lo zar della mezzaluna


Atatürk rivoluzionò la struttura politica modernizzando la Turchia

L’antefatto

Alla fine della prima guerra mondiale, la Turchia era un Paese vinto e occupato dagli alleati dell’Intesa, determinati a smantellare l’Impero ottomano. Le condizioni imposte dall’armistizio furono durissime: l’Impero doveva rinunciare alle province mediorientali; Istanbul e gli stretti dei Dardanelli finivano sotto controllo straniero ed anche l’Anatolia rischiava di essere smembrata. L’obiettivo era quello di annientare l’identità della Turchia.

Il sultano Maometto VI e i suoi ministri si rassegnarono alla sconfitta e si sottomisero alla volontà dei vincitori. Ma i ministri dell’Intesa avevano fatto i conti senza il generale Mustafà Kemal, che con grande determinazione evitò al suo Paese una sorte funesta.

 

Il soprassalto di un popolo umiliato

Le voci in favore di una Turchia unita e libera si raccolsero intorno alle associazioni patriottiche. Anche nell’esercito si contavano numerosi ufficiali contrari alla politica servile del governo, succube delle potenze dell’Intesa. Fra questi ufficiali vi era Mustafà Kemal (1881-1938). Nel clima di disfatta, il 15 maggio 1919, i Greci sostenuti dagli alleati, occuparono la città di Smirne. Per i Turchi questa invasione fu un affronto terribile e provocò l’indignazione di tutti i cittadini. L’evento coincise con la partenza di Kemal per l’Anatolia: il generale doveva andare a Samsun (Anatolia orientale), per sovraintendere al disarmo delle truppe ottomane, come prevedevano le clausole dell’armistizio. Il sultano non avrebbe mai immaginato che un suo ufficiale gli si sarebbe rivoltato contro, organizzando tra le file dell’esercito imperiale la resistenza al governo. Kemal si propose ai nazionalisti come loro capo, incoraggiando il riscatto del popolo umiliato.

Ormai dimissionato dall’esercito, Kemal insorse contro lo smembramento annunciato del suo Paese. Le parole d’ordine della resistenza erano: indipendenza completa e sovranità della nazione.

 

La guerra d’indipendenza

Nel marzo 1920 Kemal installò il suo quartier generale ad Ankara e riunì un’assemblea nazionale di cui divenne il primo presidente. C’erano ormai due poteri in Turchia: quello del sultano, dinastico e religioso, ma sotto il controllo degli stranieri; e quello di Ankara che rappresentava la sovranità nazionale.

Il 10 agosto 1920 il sultano firmò l’umiliante trattato di Sèvres che definiva la spartizione della Turchia. Il conflitto divenne inevitabile e fu contemporaneamente una guerra civile – tra i nazionalisti di Kemal e il governo del sultano – e una guerra d’indipendenza, contro gli stranieri invasori (Greci, Inglesi, Francesi).

Nel 1922 i kemalisti riportarono una vittoria sui Greci, entrarono a Smirne e trattarono con gli alleati occidentali. Con la pace di Losanna, nel luglio 1923, venne cancellato il Trattato di Sèvres e riconosciuta la Turchia libera, sovrana e indipendente.

Statua di Atatürk a Samsun, in Turchia.

La civiltà è uno Stato laico

Il 29 ottobre 1923 in Turchia venne proclamata la repubblica. Kemal ne divenne il presidente e la capitale fu trasferita ad Ankara.

Kemal intendeva amalgamare le diverse popolazioni che vivevano nel territorio dello Stato, costruire un’identità nazionale: insomma voleva «inventare» la Turchia. Avviò una politica di unificazione: uniformò l’insegnamento, il diritto, i pesi e le misure, impose l’uso della lingua turca alle minoranze, istituì un «islam laico » accettabile da sunniti e sciiti. Anche lo spazio venne unificato con una rete ferroviaria di 2800 chilometri.

 

Le riforme economiche

In Turchia bisognava porre fine all’arretratezza economica e avviare una politica di industrializzazione. Le poche industrie erano perlopiù di proprietà straniera; inoltre le distruzioni, le perdite umane di due guerre (la prima guerra mondiale e quella per l’indipendenza) e l’indebitamento dello Stato compromettevano la ripresa economica.

Nel 1923 Kemal convocò a Smirne un congresso economico per definire una strategia di sviluppo. Gli esperti indicarono una politica liberista, che tuttavia prevedeva un contributo dello Stato all’industria. Venne fondata la Banca d’affari che doveva fornire crediti alle imprese.

Questa politica si rivelò deludente e la crescita economica restò debole. La crisi del 1929 colpì un’economia ancora fragile. I dirigenti kemalisti cambiarono allora orientamento, indirizzandosi al protezionismo e al dirigismo, accentuando cioè sensibilmente l’intervento dello Stato nelle vicende economiche. La Turchia adottò così un piano quinquennale che le consentì effettivamente di divenire meno dipendente dall’estero.

 

Dittatura o democrazia?

Le numerose riforme realizzate dal presidente turco suscitarono resistenze nella società e nello stesso ambiente di Atatürk. Si formò un’opposizione in Parlamento; in Anatolia scoppiò una rivolta curda, in nome della difesa dell’islam. Kemal ne approfittò per imporre il controllo sulla stampa, la repressione nei centri religiosi, una giustizia sommaria nei tribunali. Fino al 1929 si contarono 7500 arresti, 600 esecuzioni. Alla fine degli anni Venti non c’era più alcuna opposizione organizzata.

Di che natura era dunque il regime kemalista? Dittatura o democrazia? Dittatura, senza dubbio, se si considera l’estensione del potere di Mustafà Kemal e la brutalità usata con le opposizioni.

Siamo comunque lontani dal totalitarismo. Atatürk attuò una forma di governo all’insegna del nazionalismo e del culto del capo, ma non cercò di irreggimentare la società. Per sfiducia nelle masse, respinse i grandi assembramenti popolari. Non instaurò né organizzazioni giovanili, né milizie. In sintesi, piuttosto che alle pulsioni irrazionali delle folle, fece appello alla ragione di una élite.

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