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Uomini celebri, celebri contraddizioni - Introduzione Bismarck, il cancelliere di ferro Ford, il sogno di un’automobile per tutti

Ford, il sogno di un’automobile per tutti


L'autore
Ruggiero Romano

Ruggiero Romano (1923-2002) Ha insegnato a lungo a Parigi, presso la École Pratique des Hautes Études. È stato considerato tra i massimi esperti di storia economica. Tra le opere: Prezzi, servizi e salari a Napoli nel sec. XVIII (1965); I prezzi in Europa dal sec. XIII ad oggi (1967); I conquistadores: meccanismi di una conquista coloniale (1977); L’Europa tra due crisi (1980); Opposte congiunture. La crisi del Seicento in Europa e in America (1992). In collaborazione con A. Tenenti ha pubblicato Alle origini del mondo moderno (presso la Storia Univ. Feltrinelli, 1967), oltre a numerosi saggi in altre grandi opere.

Dopo aver inventato l’automobile di massa, non comprese più i gusti della gente. Finì la sua vita occupandosi di antiquariato per salvare le testimonianze di quel mondo che aveva distrutto.

La formazione

Henry Ford nacque a Dearborn nel Michigan il 30 luglio 1863. Nell’autobiografia, Ford è estremamente laconico per quel che riguarda i suoi genitori: tutto quel che si apprende è che il padre era un piccolo proprietario agricolo di origine irlandese e che la madre – di origine olandese – s’occupava dei lavori domestici.

Henry seguì pochi studi e nel 1879 trovò lavoro come meccanico presso la società Westinghouse di Schenectady. Dopo una breve parentesi in cui tornò a lavorare la terra per il padre, nel 1888 venne assunto dalla società d’elettricità Edison. Vi fece carriera e avrebbe potuto esserne contento: in fondo, alla fine del XIX secolo lavorare nel settore elettrico significava svolgere l’attività più «moderna», più aggiornata che si potesse immaginare.

Nel 1896 in occasione di uno dei banchetti annuali della società, presieduto dallo stesso Edison, Ford ebbe l’occasione di parlargli del suo lavoro e dei suoi progetti come costruttore di automobili. Edison lo ascoltò (male, poiché era già fortemente sordo) e alla fine lo incoraggiò: «Giovanotto – gli disse – questo è quel che ci vuole. Voi l’avete trovato. Continuate a lavorare su questa strada. Le macchine elettriche non possono troppo allontanarsi dalle stazioni di rifornimento. Le batterie d’accumulatori sono troppo pesanti. Le macchine a vapore nemmeno sono buone, perché occorre loro una caldaia e del fuoco. La vostra macchina è sufficiente a se stessa, trasporta la sua fabbrica d’energia, niente fuoco, niente caldaia, niente fumo, niente vapore. Voi avete trovato, continuate su questa strada».

La classica Ford modello T del 1930.

L’invenzione del «modello T»

Incoraggiato da colui che era stato «il suo ideale fin dalla sua infanzia», Ford si mise accanitamente al lavoro. Nel 1903 fondò la Ford Motor Company. Nacquero i primi modelli di automobile (B, C, F, N, R, S), ma nessuno di questi soddisfaceva completamente Ford, il quale avrebbe voluto una sola macchina in cui fossero presenti contemporaneamente tutte le qualità che riteneva importanti.

Solo nel 1908 Ford riuscì nel suo intento con la costruzione del «modello T», il suo ideale. Costava 850 dollari. Fino al 1927 il «modello T» fu l’unico prodotto dalla Ford: 15 milioni di Ford T uscirono dalle sue officine; l’orizzonte visuale degli Americani fu costantemente coperto di Ford T: si veniva portati in chiesa per il battesimo in «T»; si veniva accompagnati al cimitero in «T». Questa automobile divenne veramente una protagonista della vita americana per un tempo lunghissimo; gli Americani non la chiamavano «modello T», nome troppo tecnico e freddo per qualcosa che era diventato così familiare nella vita quotidiana: la chiamavano «Lizzie», la buona e fedele compagna di tutti i giorni.

 

Il segreto: l’organizzazione

Il successo della «T» fu enorme. Il prezzo scese fino a giungere a 440 dollari. La produzione crebbe a un ritmo vorticoso; il 31 ottobre 1925 si stabilì un vero record: 9109 macchine uscirono dalle officine Ford. E mentre i prezzi scendevano, Ford aumentava i salari. Com’era possibile?

A questa domanda, Ford rispondeva: «Organizzazione». Il che voleva dire organizzare le operazioni di lavoro secondo la concezione tayloristica. In questo modo si otteneva un abbassamento del costo della manodopera (non più specializzata) e un progressivo aumento dei salari, legato all’incremento di produzione. Una volta stabilito il ritmo ideale di lavoro (più intenso) interveniva il sistema del premio, dell’aumento di salario: per un accresciuto rendimento del lavoro, occorreva aumentare il compenso.

Diceva ancora Henry Ford: «Con il passare degli anni ho imparato molto sui salari. In primo luogo credo che, a parte ogni altra considerazione, le nostre vendite dipendano in una certa misura dai salari che paghiamo. Se siamo in grado di distribuire salari più elevati, quel denaro può allora essere speso e contribuirà a rendere più prosperi rappresentanti, distributori e lavoratori che operano in altre linee industriali. Alti salari diffusi in un intero Paese corrispondono a una prosperità diffusa, purché tuttavia salari più elevati vengano pagati per una produzione più elevata».

I risultati furono sensazionali. Il montaggio del motore, compiuto in origine da una sola persona, venne distribuito tra 84 uomini e il tempo di montaggio calò da 9 ore e 54 minuti a 5 ore e 56 minuti; la preparazione dello chassis, che richiedeva 12 ore e 20 minuti, passò a 1 ora e 33 minuti.

 

Il declino e la fine

Il 26 maggio 1927 il «modello T» fu soppresso. Già dal 1923-24 la vendita aveva cominciato a manifestare qualche segno di stanchezza. Per recuperare le quote di mercato perdute, Ford accettò perfino dei compromessi: acconsentì che la «Lizzie» fosse prodotta in colori differenti dal nero; ma ormai non c’era più nulla da fare.

Ora la concorrenza produceva auto più comode, più grandi, più complesse, con delle apparecchiature di cui forse Ford aveva ragione di dire ch’erano «inutili», ma che il cliente voleva. Era proprio questo il limite di Ford: credere che tutti volessero solo ciò che era «utile». Questo era potuto essere un importantissimo elemento per superare la fase «aristocratica» dell’automobile, per ridurre i prezzi e metterla a portata di tutti; ma credere che tutti gli uomini avrebbero accettato all’infinito di circolare in «modello T» era un’illusione. E un’illusione tanto più incomprensibile in quanto coltivata proprio dall’uomo che più di ogni altro aveva lavorato per una motorizzazione di massa.

Per adeguarsi al mercato, la Ford cambiò modello, ma il successo del «modello T» non venne più raggiunto. Divenne così una tra le tante case produttrici di automobili americane ed europee.

Dopo il 1932 Ford cominciò a ripiegarsi su se stesso. Nel 1936 decise infine di ritirarsi. Negli ultimi anni della sua vita – salvo che nel periodo 1943-45 durante il quale riassunse la presidenza della società in seguito alla morte del figlio – Henry Ford si occupò d’antiquariato; e non solo di antiquariato ad altissimo livello, ma anche di quello più modesto come ricostruire i laboratori di Edison o rimettere nello stato originario vecchie fattorie.

Sarà forse leggenda l’episodio che ora ricorderemo, ma merita ugualmente di essere raccontato: Henry Ford aveva comprato l’osteria Wayside Inn, sita a Sudbury (Massachusetts) sulla strada da cui i pionieri americani avevano iniziato la loro marcia verso l’Ovest. Dinanzi a questa osteria passava allora una grande strada, su cui schizzavano veloci le macchine, le «sue» macchine; il vecchio Ford fece spostare quella strada e fece rifare il vecchio sentiero, di modo che «tutto fosse come un tempo, quando passavano i cavalli e le carrozze».

Leggenda? Può darsi. Ma certe leggende non si incollano ai personaggi per caso; e questa – se è leggenda – s’attaglia al nostro eroe in modo perfetto.

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