Giocare nel mondo antico
L’importanza del gioco
Il gioco è un’attività che occupa una parte importante della nostra esistenza: si pratica sempre e a tutte le età anche se con gusti e modalità diverse. Che gli antichi se ne interessassero è dimostrato dal fatto che su di esso vennero scritti addirittura interi volumi: da quelli greci risalenti al V secolo a.C. (una commedia di Cratete aveva per titolo Cose da fanciulli), a quelli di dotti alessandrini ai quali attinse Svetonio per scrivere il suo libro sui fanciulli dell’Ellade. Ma come si giocava nell’antichità e quali erano i giochi preferiti in quei tempi? Si può rispondere a queste domande grazie ai ritrovamenti archeologici e ai bassorilievi posti a ornare le tombe di defunti. Proprio le necropoli, infatti, sono i luoghi dove, a causa della allora notevole mortalità infantile, si registrano con maggiore frequenza i ritrovamenti di giocattoli. Tra l’altro la consuetudine di seppellire i bambini con i loro giochi svela una grande fiducia nella continuità della vita oltre la morte. Il giocattolo era al centro anche di un’altra usanza. Facendo proprio un costume di origine greca, i giovani in età da matrimonio trasformavano i propri giocattoli in simboli da consacrare agli dei. Era il rito che segnava la fine di un periodo e celebrava solennemente l’ingresso nella vita adulta.
I preferiti dai bambini
Gli oggetti ritrovati vanno dai poppatoi-sonagli agli amuleti che, appesi al collo del bambino, avevano il pregio non solo di consentirne il ritrovamento, ma anche di scacciare gli spiriti maligni.
Crescendo si scopriva poi l’imitazione degli adulti, così si giocava a fare i soldati, i magistrati, i giudici; le future spose preferivano le loro bambole (pupae).
È interessante notare come queste bambole – fatte di pezza, di rozza ceramica, di legni preziosi o di avorio – fossero sempre foggiate a immagine di avvenenti ragazze da marito. Queste antenate di Barbie erano spesso adornate con collane e vesti realmente preziose.
Un esempio emblematico è rappresentato dalla bambola rinvenuta in una tomba scoperta nel maggio 1889, mentre si stava scavando l’argine del Tevere per gettare le fondamenta del Palazzo di Giustizia. Il sepolcro di marmo, risalente al 170 d.C., conservava intatta, accanto alle ossa della giovane Crepereia Tryphaena una “pupa” scoperta nel maggio 1889, mentre si stava scavando l’argine del Tevere per gettare le fondamenta del Palazzo di Giustizia. Il sepolcro di marmo, risalente al 170 d.C., conservava intatta, accanto alle ossa della giovane Crepereia Tryphaena una “pupa” d’avorio, con tanto di accessori di bellezza, davvero simile a una giovane e ambiziosa donna molto attenta al suo aspetto. d’avorio, con tanto di accessori di bellezza, davvero simile a una giovane e ambiziosa donna molto attenta al suo aspetto.
Per ambo i sessi: le noci
Vi erano poi i giochi per ambo i sessi come, ad esempio, quelli che si facevano con le noci. I bimbi romani avevano sempre una certa dotazione di noci, un frutto che così finì per simboleggiare l’infanzia. In un suo poemetto, chiamato appunto La noce, Ovidio descrive i giochi che con esse si facevano. Uno dei più popolari era quello detto dei “castelli” nel quale vinceva chi riusciva a gettare la sua noce sopra un gruppetto di altre tre, formando così una piccola piramide.
La “fossetta”
Nello stesso poema si parla del gioco della “fossetta”, nel quale si doveva centrare una buchetta scavata nel terreno o la stretta bocca di un vaso di terracotta. Al posto delle noci si potevano usare anche gli astragali, che erano ossicini ricavati dalle zampe posteriori di pecore e altri animali. Presto si cominciò a copiarli, costruendoli in bronzo, piombo, marmo, terracotta e persino in materiali preziosi come oro e avorio.
Con la palla: il “polverone”
Importato anch’esso dalla Grecia, il gioco della palla era una specie di football americano che consisteva nel tentativo di portare l’harpastum (una piccola palla ripiena di lana o stoppa) all’ultima estremità del campo avversario.
A Roma il gioco attecchì trionfalmente.
Cambiò solo il nome. Il campo era uno spiazzo qualsiasi di terra per cui si combatteva in una nuvola di polvere. Perciò i Romani, invece di usare il nome greco di harpastum, preferirono dire in latino pulverulentus, il “polverone”.
Presso i Romani i giochi con la palla ebbero grande successo e diffusione. Del resto, il medico Celso consigliava questi giochi come divertimento sano, soprattutto se praticati all’aria aperta.
Naturalmente i bambini e i giovani non aspettavano le prescrizioni di Celso, o di altri dottori, per giocare ore e ore.
Non mancavano così i critici: i Romani più conservatori si scandalizzavano nel vedere molti giovani passare le loro giornate nel rincorrere la palla.