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Cinema e Storia
Il Gattopardo - Introduzione La sequenza: l'annessione al Regno di Sardegna

Il Gattopardo - Introduzione


Regia: Luchino Visconti
Interpreti: Burt Lancaster: don Fabrizio, principe di Salina, Alain Delon: Tancredi, nipote del principe, Claudia Cardinale: Angelica Sedara, Rina Morelli: Maria Stella, moglie del principe, Paolo Stoppa: don Calogero Sedara, Romolo Valli: Padre Pirrone
Paese: Francia/Italia
Anno: 1963

Risorsa interattiva

Il principe Fabrizio di Salina, un aristocratico siciliano, vede turbata la sua tranquilla vita dalla notizia dello sbarco di Garibaldi in Sicilia.

Il nipote del principe, Tancredi Falconeri, comunica la sua intenzione di unirsi all’esercito garibaldino: così potrà evitare una rivoluzione repubblicana.

Durante gli scontri a Palermo, Tancredi viene ferito e ottiene i gradi di capitano. Nonostante i tumulti, e grazie alle sue conoscenze, il principe raggiunge Donnafugata, dove con la famiglia trascorre le vacanze. Ad attenderlo c’è don Calogero Sedara, il sindaco, poco raffinato ma facoltoso, che guida le operazioni di annessione della Sicilia al Regno di Sardegna.

La bellezza della figlia del sindaco, Angelica, colpisce il giovane Tancredi. Il principe appoggia l’unione tra i due, sa che il denaro della ragazza potrà favorire la carriera del nipote, che presto abbandona le fila dei garibaldini e si arruola nell’esercito regio, da dove potrà avviare una carriera politica brillante.

Il principe e Tancredi partecipano infine al gran ballo in cui sono riuniti sia la vecchia nobiltà siciliana sia i rappresentanti del nuovo corso politico, tra cui il colonnello Pallavicini, che racconta dell’incontro con Garibaldi ferito sull’Aspromonte. Tutti si divertono, solo il principe sembra essere malinconico, presagendo l’imminente fine per sé e per il mondo che rappresenta.

La battaglia di Palermo
La battaglia di Palermo

La battaglia di Palermo

Per dare maggiore realismo ai combattimenti per le vie, sulle barricate, davanti a portoni e chiese, il regista Visconti cercò di effettuare le riprese nei luoghi in cui si svolsero effettivamente gli eventi. Con l’aiuto degli scenografi, Visconti trasformò questi luoghi per renderli più credibili dal punto di vista storico, ispirandosi anche alle fotografie dell’epoca. In particolare, la collezione del fotografo Eugenio Sevaistre costituì un’utile fonte iconografica per appurare come e dove soldati e cittadini si disposero per le strade, durante gli scontri. Un’altra fonte importante fu il quadro di Giovanni Fattori, Garibaldi a Palermo (1860 ca.), opera che il pittore toscano dedicò agli scontri palermitani.

La battaglia di Palermo

Da Tomasi di Lampedusa a Gramsci

Il film riprende piuttosto fedelmente il romanzo Il Gattopardo (1958) di Giuseppe Tomasi di Lampedusa (1896-1957), sottolineandone i passaggi più significativi, ma allontanandosi talvolta dal testo originale per dare una lettura del Risorgimento più politica, riassunta nella definizione gramsciana di «rivoluzione mancata» riferita a quel periodo storico. Il regista Luchino Visconti fu, del resto, a partire dagli anni Quaranta del XX secolo fino alla morte avvenuta nel 1976, un intellettuale vicino al Partito Comunista, nonostante il rapporto travagliato che ebbe con la dirigenza di quel partito.

 

Il vecchio mondo e l’arrivo dei «Piemontesi»

Come nel romanzo, la vicenda dei Salina ha come scenario l’impresa dei Mille, dalla quale scaturirono i cambiamenti politici e sociali che portarono alla decadenza di molte famiglie aristocratiche, di cui il principe Fabrizio è un tipico rappresentante. All’inizio del film la preghiera del principe e della sua famiglia è interrotta dalle grida concitate della servitù che ha rinvenuto il corpo di un soldato nel giardino. Il maggiordomo consegna una missiva che parla di «terribili notizie» relative allo sbarco dei «Piemontesi», e suggerisce un possibile riparo sulle navi inglesi ancorate nel porto. Il giornale filoborbonico letto dal principe descrive l’arrivo di Garibaldi a Marsala come «un atto di pirateria» compiuto da una «banda armata di circa 800 uomini», mentre i garibaldini sono spregiativamente definiti «briganti» che non hanno saputo affrontare le truppe borboniche; si precisa che la marcia dei Mille procede verso Castelvetrano, accompagnata ovunque da «rapine e devastazioni».

Nel segno della continuità

Quando fa la sua apparizione il personaggio di Tancredi Falconeri, il nipote prediletto del principe, sappiamo che è in atto una ribellione contro «Franceschiello», come veniva chiamato il re Francesco II di Borbone. Il giovane propone un diverso punto di vista, annunciando allo zio di volersi unire ai ribelli che sostengono Garibaldi sulle vicine montagne. Tancredi dimostra di essere un opportunista ma anche di avere una visione più lucida sui cambiamenti in atto. Rimpiange i tempi del re Ferdinando II, teme l’avvento della «repubblica di don Peppino Mazzini», ma pronuncia una frase emblematica, che in seguito lo zio farà propria: «Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi».

I due re

I due re

Durante il loro primo incontro, il principe di Salina e il nipote Tancredi parlano del sovrano borbonico chiamato con l’appellativo di «Franceschiello»  - Foto a sinistra. Com’è noto si tratta di Francesco II (1836-1894), succeduto al padre Ferdinando II il 22 maggio 1859, e rimasto sul trono fino al febbraio 1861. Francesco di Borbone, ultimo re del Regno delle Due Sicilie, era molto riservato, assai incerto nelle scelte politiche.

Il soprannome di Franceschiello gli venne dato in senso dispregiativo per la debolezza mostrata durante l’impresa dei Mille, confermata nel film dalle parole dello stesso Tancredi. Non ebbe infatti un atteggiamento fermo e deciso: in un primo tempo cercò un accordo con il Piemonte – non dimentichiamo che era un parente stretto dei Savoia: sua madre era Maria Cristina di Savoia, ovvero la figlia di Vittorio Emanuele I –; poi concesse una Costituzione, il 23 giugno del 1860. Perse comunque il regno, si rifugiò a Gaeta dove cercò di opporre una certa resistenza all’ondata garibaldina, poi a Roma dal papa, ma ben presto scelse la via dell’esilio fuori dai confini italiani.

A lui, anche nel dialogo tra Tancredi e lo zio, si oppone un altro re, ovvero Vittorio Emanuele II - Foto a destra, re di Sardegna dopo che il padre Carlo Alberto ebbe abdicato nel 1849, ma soprattutto primo re d’Italia dal 17 marzo 1861. Vittorio Emanuele fu definito il «re galantuomo», per la sua apertura verso le riforme e in particolare per aver mantenuto lo Statuto Albertino una volta giunto al potere. Il principe di Salina tuttavia non crede nel cambiamento che gli prospetta Tancredi. Per lui il «re galantuomo» non sarà meglio di Franceschiello: «Dialetto torinese invece che napoletano, tutto qui».

Francesco II di Napoli
Vittorio Emanuele II

Il tramonto del sogno garibaldino

Allontanandosi dal romanzo, il film mostra i combattimenti tra garibaldini e forze borboniche a Palermo.

Vi sono poi altri riferimenti alla conquista militare della Sicilia. Per esempio, Tancredi giunge con un generale in camicia rossa a Palazzo Salina per mostrargli gli affreschi sui soffitti, sottolineando così la subalternità culturale del soldato rispetto all’aristocrazia isolana. Più avanti Tancredi indossa la divisa dell’esercito regio, rinnega il suo passato di ribelle, disprezza i garibaldini accusandoli di essere dei selvaggi capaci solo di sparare.

La parabola garibaldina si conclude definitivamente nella sequenza finale del ballo, quando arriva Pallavicini, il colonnello dell’esercito regio che fermò Garibaldi sull’Aspromonte per evitare che i Mille compromettessero l’alleanza con la Francia. Il militare, ospite illustre, ha un atteggiamento esuberante e tronfio; gli altri invitati pendono dalle sue labbra quando racconta del suo incontro con Garibaldi, citando «il famoso inginocchiamento» accanto all’eroe sconfitto, suscitando la reazione infastidita del principe.

 

Ritorno all’ordine

Con la fine del sogno garibaldino la società ritorna al vecchio ordine. Al suono delle fucilate che si sentono nella notte, don Calogero Sedara dice a Tancredi che gli siede accanto: «Ora possiamo stare tranquilli». Lo stesso principe, in un dialogo con padre Pirrone, il confessore gesuita, diceva di aver fatto importanti «scoperte politiche» sul fatto che nonostante l’arrivo di Garibaldi e dei suoi uomini, in realtà non sta succedendo niente, soltanto «un’inavvertibile sostituzione di ceti».

Le considerazioni finali del principe e di don Calogero confermano la lettura pessimistica del Risorgimento già presente nel romanzo, ancora una volta nell’ottica di un grande cambiamento mancato o tradito.

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