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Vita quotidiana
Il «magnifico vivere» - Introduzione Casa, dolce casa Il trionfo del nero

Il trionfo del nero


L'autore
Michel Pastoureau

Michel Pastoureau (1947) è uno storico e antropologo francese. Dirige l’Ècole pratique des hautes études di Parigi dove insegna storia della simbologia medievale. È considerato il massimo esperto di storia del colore. Tra le sue opere ricordiamo L’uomo e il colore (1987), La stoffa del diavolo. Una storia delle righe e dei tessuti rigati (1993) e Medioevo simbolico (2005).

La Riforma fu un momento importante nella storia sociale del colore: segnò il trionfo del nero sul rosso e sul blu.

Il Basso Medioevo vede svilupparsi dappertutto la promulgazione di testi normativi e leggi sull’abbigliamento o suntuarie, specialmente nei contesti urbani. Queste leggi, che in varie forme perdureranno talvolta fino al XVIII secolo (per esempio a Venezia) avevano una triplice funzione. Prima di tutto economica: limitare in tutte le classi e le categorie sociali le spese concernenti il vestiario e i suoi accessori, in quanto investimenti improduttivi.

Poi, una funzione morale: mantenere una tradizione cristiana di modestia e di virtù; in questo senso, queste leggi si riallacciano alla grande corrente moralizzatrice che attraversa il Medioevo al suo declino e di cui la Riforma sarà l’erede.

Infine, e soprattutto, una funzione sociale e ideologica: instaurare una netta separazione per mezzo dell’abbigliamento, in quanto ciascuno deve vestirsi in rapporto al suo sesso, al suo stato sociale e al suo rango. Tutto è regolato secondo le classi e le categorie socio-professionali: il numero dei vestiti, le parti che li compongono (un’attenzione particolare è data alle maniche), le stoffe di cui sono fatti, i colori con cui sono tinti, le pellicce, i gioielli e tutti gli accessori.

Alcuni colori sono interdetti a questa o a quella categoria sociale, non tanto per le loro tinte, troppo vivaci o troppo immodeste, ma perché essi sono ottenuti per mezzo di pigmenti troppo preziosi, il cui commercio e il cui impiego sono rigorosamente controllati. Così, nella gamma dei blu, le vesti paonazze (blu cupo profondo), colorate con un estratto d’indaco particolarmente costoso. Così, anche, tutte le vesti rosse, i cui ricchi colori sono tratti dal chermes o dalla cocciniglia. Questa morale economica e sociale del colore nell’abbigliamento favorisce nel XV secolo la moda del nero. Negli ambienti principeschi e patrizi il nero diviene non soltanto un colore di moda, ma anche un vero «valore», come lo era stato il blu nel XIII secolo. I tintori moltiplicano le prodezze tecniche per fabbricare dei neri intensi e vivi e dei neri che tengano, sui drappi di lana e sulle sete, altrettanto bene che sulle pellicce (cosa di cui erano incapaci prima). Questa valorizzazione del nero si prolunga molto avanti nell’Età moderna ed esercita i suoi effetti anche nei codici di abbigliamento contemporanei.

Da una parte, infatti, la corte ducale di Borgogna, che codifica e catalizza tutte le pratiche protocollari del Medioevo al suo declino, trasmette alla corte di Spagna questa moda del nero principesco e, attraverso la mediazione della famosa «etichetta spagnola», questo nero invade tutte le corti europee dal XVI secolo all’inizio del XVIII. Dall’altra, e in modo preponderante, l’etica della Riforma protestante si impadronisce subito di questo stesso nero moralizzato dalle leggi suntuarie del XV secolo e ne fa, fino all’epoca industriale, il polo essenziale di tutti i sistemi del colore. Ma su un punto occorre soffermarsi un po’.

Rembrandt, I sindaci della Gilda dei drappieri, 1662. Amsterdam, Rijksmuseum.

Se l’«iconoclasma» («lotta contro le immagini sacre») della Riforma è in effetti meglio conosciuto del suo «cromoclasma », la «guerra al colore» – o perlomeno a certi colori – ha tuttavia sempre costituito una dimensione importante della nuova morale cristiana istituita da Lutero, Calvino e dai loro epigoni. Nato all’inizio del XVI secolo, nel momento in cui trionfano il libro stampato e l’immagine incisa – cioè una cultura e un immaginario in bianco e nero –, il protestantesimo si mostra erede della morale del colore del XV secolo e, nello stesso tempo, un perfetto figlio del suo tempo: in numerosi e importanti settori della vita religiosa e sociale (il culto, l’abbigliamento, l’arte, gli «affari»), esso raccomanda e mette in pratica dei «sistemi del colore» interamente costruiti intorno a un asse nero-grigio-bianco. Si dà ormai l’ostracismo agli altri colori (solo il blu è talvolta risparmiato), specialmente ai colori caldi, il rosso e il giallo. Su questo punto Calvino e Zwingli si mostrano i più drastici. Ma Melantone, autore nel 1527 di un De vestitu, che riprende varie idee care a Lutero, si fa già, prima di loro, campione di un’etica del nero e dello scuro, etica che resterà quella dei Paesi protestanti fino all’epoca contemporanea. Le ripercussioni di questa nuova morale del colore nell’abbigliamento si iscrivono infatti nella lunga durata.

A partire dal XII secolo, e ancora più nel XIX, i valori protestanti diventano quelli del capitalismo nascente, poi della società industriale, in una parola di ciò che nella cultura occidentale viene chiamato i «valori borghesi». Essi condizionano ancora una buona parte delle nostre pratiche concernenti l’abbigliamento, ed è molto probabile che i nostri vestiti scuri, le nostre camicie bianche, i nostri blazer, i nostri smoking e i nostri abiti da sera siano gli eredi più o meno diretti della morale protestante del colore.

Lo scuro è rimasto un valore, un polo cromatico dell’abito maschile. E per liberarsi dalla tirannia del nero, la società contemporanea si è trovata un succedaneo, un colore di rimpiazzo: il blu marino.

Nel corso del XX secolo esso ha invaso quasi tutti i campi in cui prima trionfava il nero: le uniformi e gli abiti istituzionali, sportivi o festivi. Credo sia perfino possibile vedere nei jeans, capo di vestiario emblematico delle nostre società capitaliste, un tipo di pantaloni il cui colore è il prodotto della morale protestante anglosassone. Questi jeans possono essere del blu più chiaro e più slavato, essi restano tuttavia, concettualmente, un vestito scuro, un vestito moralizzato, un erede della culotte (calzoni corti) nera dell’Ancien régime.

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