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Diritto e storia
Agguati, intrighi e invasioni I fuorilegge nell’antica Roma Antenati di 007 Le origini di Venezia

Antenati di 007


L'autore

Andrea Barlucchi è dal 2008 ricercatore e professore aggregato di Storia medievale presso l’Università di Siena, Facoltà di Lettere e Filosofia in Arezzo. Si interessa alla storia delle campagne toscane nel basso Medioevo, in particolare dal punto di vista economico, sociale e istituzionale.

Da Roma a Bisanzio, il Mediterraneo pullula di agenti segreti.
Infiltrati a migliaia in territorio nemico, si rendono protagonisti di imprese rocambolesche.

Agentes in rebus

James Bond è sicuramente l’agente segreto più famoso al mondo. Le sue imprese spericolate, le sue astuzie, l’ingegnosità degli strumenti di cui si serve nascono dalla fantasia di uno scrittore. Ma nella realtà esistono agenti segreti veri, magari dall’apparenza discreta e innocua.
Nel mondo antico, e soprattutto nel Medioevo, esistevano già agenti segreti. In quell’epoca furono soprattutto i Bizantini a servirsene. La rete di spie e di informatori messa a punto dall’impero d’Oriente era assolutamente necessaria per garantire la sicurezza. I confini infatti erano costantemente in pericolo, mentre il sistema difensivo diventava sempre più debole. Occorreva dunque trovare un rimedio opportuno per evitare l’invasione dello straniero. Per questo si ricorreva all’ausilio degli agenti segreti.
Durante l’impero di Costantino operavano i cosiddetti agentes in rebus. Si trattava di militari accuratamente selezionati che vivevano nel palazzo imperiale e rimanevano a disposizione per qualunque missione delicata o pericolosa. Potevano essere incaricati di portare messaggi segreti ai governatori delle province, oppure di controllare il buon funzionamento del servizio postale. Soprattutto dovevano tenere gli occhi aperti sulla vita della corte per sventare congiure o trame ai danni dell’imperatore. Ma gli incarichi più delicati e importanti riguardavano l’acquisizione di informazioni sia sul territorio controllato dall’impero, che sui popoli stranieri i quali premevano ai confini. Una volta raccolte, tutte le informazioni venivano inserite in una sorta di archivio, lo scriniun barbarorum, che poteva essere consultato ogni volta che ce ne fosse bisogno.

 

Festa fra mercanti arabi, miniatura dal Codice di Avicenna. Milano, Biblioteca Ambrosiana.
L’attività mercantile era spesso una copertura per le spie.

Messaggi segreti
Come James Bond anche gli agenti segreti bizantini si travestivano per non farsi riconoscere. In genere l’attività di copertura di un buon agente segreto era quella del mercante: sotto queste spoglie la spia si poteva spostare senza dare nell’occhio, entrando in contatto con uomini e realtà diverse che potevano fornire indicazioni preziose.
Un buon agente segreto doveva passare inosservato. La sua abilità si mostrava ogni volta che riusciva a infiltrarsi tra le file nemiche senza destare alcun sospetto. Era ciò che era riuscito perfettamente a Nicholas, una spia bizantina del X secolo mandata alla corte di Bagdad. Nessuno ebbe dei sospetti su questo uomo che si era addirittura fatto musulmano per rendere più credibile la sua falsa identità. Il sultano aveva una così grande fiducia in Nicholas che gli affidò
addirittura la raccolta delle tasse imperiali.
In realtà costui comunicava con Bisanzio attraverso messaggi cifrati. Sembra che mandasse in patria delle pezze di panno tinte di nero, sulle quali erano stati ricamati dei messaggi crittografati. Una volta giunti a destinazione i panni venivano lavati in modo da rendere visibile e comprensibile il testo del messaggio.
Questo era soltanto uno dei tanti espedienti usati dagli agenti segreti per comunicare. Nel mondo antico Greci e Romani erano riusciti a escogitare modi curiosi per trasmettere informazioni segrete. Si nascondevano messaggi sotto la suola delle scarpe, nelle spalline degli abiti, oppure negli orecchini delle donne; si scrivevano parole su delle foglie che poi si appoggiavano sopra una ferita. L’ingegno insomma non mancava. Si racconta che Cesare facesse uso di un cifrario per scrivere le sue lettere. Ogni lettera dell’alfabeto veniva spostata di tre posti. In questo modo dunque la a diventava d, la b diventava e. Era un sistema semplice, ma a quanto pare piuttosto efficace. Un espediente decisamente più fantasioso era stato usato in Grecia verso il 500 a.C. Il messaggio segreto venne scritto sulla testa pelata di uno schiavo che raggiunse i destinatari solo quando i capelli ricresciuti nascondevano il testo.

Scambi di ambasciatori arabi e bizantini, miniatura del XIV secolo. Madrid, Biblioteca Nazionale.

Informatori e disinformazione

Ma prima di trasmettere informazioni era necessario acquisirle. Ecco perché il lavoro prezioso degli agenti segreti doveva appoggiarsi a una fitta rete di informatori: amici segreti, pagati direttamente da Bisanzio, sparsi un po’ ovunque.
Non mancavano neanche operazioni di disinformazione. Nell’880, ad esempio, gli Arabi inviarono dei loro agenti segreti a Bisanzio per carpire informazioni sull’esercito avversario, prima di affrontare una spedizione militare. La spia fu però individuata, ma invece di eliminarla fu ingannata con false informazioni. Così, quando tornò in patria, raccontò dell’ampiezza e della forza dell’esercito bizantino. L’inganno riuscì così bene che gli Arabi si spaventarono e decisero di rinviare, almeno per un po’, l’incursione nei territori di Bisanzio.
Anche l’Occidente ebbe le sue spie, altrettanto astute e abili. Nel 746, il re longobardo Rechi dovette addirittura emanare un provvedimento per fermare l’arrivo di agenti segreti al servizio dei Franchi. Erano assai numerosi e arrivavano in Italia travestiti da pellegrini.
Più tardi furono i Comuni a servirsi di agenti. Siena per esempio aveva le sue spie per osservare e seguire di nascosto le mosse della sua avversaria di sempre, Firenze. Una delle spie più famose, Albertino, era talmente astuto che riuscì a sfuggire alla cattura per ben due volte. Insomma anche gli antenati di James Bond la sapevano lunga.

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