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Diritto e storia
Agguati, intrighi e invasioni I fuorilegge nell’antica Roma Antenati di 007 Le origini di Venezia

I fuorilegge nell’antica Roma


L'autore

Anna Maria Liberati è archeologa della Sovraintendenza ai Beni Culturali del Comune di Roma, dove si occupa delle collezioni del Museo della Civiltà Romana.
Le sue opere principali trattanodell’organizzazione dell’esercito romano e degli aspetti della vita quotidiana nel mondo antico tra archeologia e diritto.

Nelle grandi città era sconsigliabile avventurarsi per strada dopo il tramonto: complice l’assenza di illuminazione, erano assai frequenti i furti e gli omicidi.

 

Chi erano i fuorilegge?
Il termine latro indicava nell’antica Roma colui che si opponeva allo Stato rifiutandone le istituzioni e che pertanto dallo Stato veniva perseguitato fino alla morte. Era insomma un fuorilegge. Il diritto romano in questo caso non faceva distinzioni fra il brigante di strada, il capobanda o il pirata, l’avversario politico, il fanatico religioso o il disertore: Catilina stesso venne considerato né più né meno che un fuorilegge.

Viaggiatori assassinati e rapiti

Come si diventava banditi? Spesso l’isolamento e l’emarginazione portavano a una condotta di vita violenta: era questo il caso di schiavi, di disertori o di militari a riposo che non si accontentavano di quel poco che poteva offrire la coltivazione dei campi. Soprattutto nel Meridione d’Italia, vi erano poi dei pastori che si davano al brigantaggio.

In alcune regioni dello Stato, rivolte e banditismo erano così comuni che era considerato un vero e proprio suicidio viaggiare da soli. Allo scopo di prevenire azioni criminali, venivano costruiti nei luoghi maggiormente a rischio posti di guardia fortificati.
Frequenti furono i casi di viaggiatori uccisi dai banditi, il cui ricordo è rimasto nelle epigrafi funerarie trovate in varie parti dell’impero. In Spagna un giovane di vent’anni venne ucciso dai briganti, mentre un altro, Lusius, perì mentre si recava a far visita alla sorella. Ugualmente accadde in Dacia, e ancora in Dalmazia, dove Iulia Restituta, una bambina di dieci anni, fu assassinata e derubata dei gioielli che aveva indosso.
Gli scrittori antichi parlano anche di persone in viaggio tra una località e l’altra, sparite misteriosamente nel nulla. Scrive Plinio il Giovane1 all’amico Bebio Ispano: «Mi scrivi che Robusto, cavaliere romano che godeva di una ragguardevole considerazione, viaggiò fino a Otricoli in compagnia del mio amico Atilio Scauro.
Poi è sparito. Di conseguenza mi chiedi di convincere Scauro a venire per indicarci, se è possibile, una qualche traccia per le nostre indagini. Verrà, ma temo che tutto sia inutile. Penso infatti che a Robusto sia capitato qualche cosa di analogo a quello che avvenne una volta al mio conterraneo Metilio Crispo. Dopo essere stato derubato, fu ucciso».

 

Joseph-Marie Wien (1716- 1809), La congiura di Catilina.
CATILINA: IL PIÙ PERICOLOSO DEI FUORILEGGE?

CATILINA: IL PIÙ PERICOLOSO DEI FUORILEGGE?

La storia o, per meglio dire, gli autori antichi hanno generalmente dato ragione a Cicerone. A cominciare da Sallustio (86-35 a.C.), un testimone diretto della congiura: «Lucio Sergio Catilina, nato da illustre famiglia, era fortissimo d’animo e di corpo, ma di indole trista e malvagia. Fin dall’adolescenza trovò piacere nelle stragi, nelle rapine, nelle discordie civili e fra esse passò i suoi anni giovanili».
Alla metà dell’Ottocento anche Theodor Mommsen, un grande studioso del mondo latino, tracciò un ritratto piuttosto severo di Catilina: «Uno dei più scellerati in questo tempo malvagio era Catilina. Le sue ribalderie meritano di essere registrate nel libro degli atti criminali, non in quello della storia». In tempi più recenti, gli storici hanno moderato questi giudizi: Guido Clemente ha scritto: «La congiura di Catilina, un episodio che conosciamo bene per gli scritti di Cicerone e Sallustio, non fu in realtà così drammatica, se non per i suoi esiti. Catilina era un giovane aristocratico che aveva puntato al consolato, e ne era stato tenuto lontano dall’opposizione oligarchica. I suoi metodi non erano, fino al 63, diversi da quelli di tanti altri. Solo in seguito gli furono rovesciate addosso accuse di ogni genere».
Non mancano, infine, quelli che hanno tentato una rivalutazione di Catilina. Tra questi, il più determinato è il giornalista Massimo Fini. Secondo lui, Catilina fu un vero rivoluzionario che si batté in favore dei ceti più deboli ed emarginati: «La plebe non riusciva a trovare un leader che si facesse realmente paladino dei suoi interessi perché era troppo povera e incolta. Anche gli aristocratici che si dicevano populares avevano a cuore solo le proprie ambizioni personali. Del resto la brutale ed esemplare fine dei Gracchi era stata un eloquente monito per tutti e paralizzava anche i più sinceri, qualora ve ne fossero stati». Spiega lo storico inglese P.A. Brunt: «Tra i membri della classe dirigente ben pochi erano disposti a essere accusati di irresponsabilità e violenza, a essere chiamati dai loro pari agitatori sediziosi e ad affidare la loro carriera all’effimero favore delle masse. In settant’anni se ne trovò uno solo: Catilina».

Joseph-Marie Wien (1716- 1809), La congiura di Catilina.

Joseph-Marie Wien (1716- 1809), La congiura di Catilina.

Roma al contrattacco

Lo Stato cercò in vari modi di reprimere tutte le forme di violenza. In mancanza di vere e proprie forze di polizia quali oggi noi le intendiamo, vennero istituite, a partire dalla prima repubblica, alcune magistrature e, in seguito, anche milizie, per la lotta alla criminalità. Ricordiamo i tresviri capitales o nocturni, e i vigiles e gli urbaniciani con Augusto. L’appellativo di nocturni conferito ai tresviri sta a indicare che la loro azione era svolta prevalentemente nelle ore notturne.
Fuori Roma e dell’Italia era compito dei vari governatori provinciali far rispettare l’ordine e combattere la criminalità. Si faceva anche ricorso a veri e propri cacciatori di banditi. A volte si trattava di una milizia privata; esisteva inoltre la polizia civica la cui azione non doveva essere molto efficace. Particolarmente affidabili risultavano invece le forze al servizio dei vari signorotti locali.
Già subito dopo l’arresto, i briganti potevano essere interrogati facendo uso della tortura. Le pene capitali che di solito venivano loro inflitte erano la condanna a essere sbranati vivi dalle belve, la crocifissione, il rogo, più altri tipi di castighi pubblici, che avevano lo scopo di servire d’esempio alla comunità.

1 Scrittore latino vissuto fra il 61 e il 112 ca.

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