Sommario
Letteratura e storia
I libri la voce dell’utopia La pace, il lato femminile dell’Iliade Con il mito di Atlantide nasce la fantascienza Cicerone, dalla parte sbagliata

Cicerone, dalla parte sbagliata


L'autore
Eva Cantarella

Eva Cantarella (1936) è una giurista e storica che si è occupata del diritto e degli aspetti sociali del mondo greco e romano. Tra le sue pubblicazioni: Studi sull’omicidio in diritto greco e romano (1976), L’ambiguo malanno. Condizione e immagine della donna nell’antichità greca e romana (1981), Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico (1988), I supplizi capitali in Grecia e a Roma (1991), Diritto greco (1994), Storia del diritto romano (1999).

Avvocato, politico, oratore e filosofo, Cicerone si erse a difensore della romanità. In un’epoca di grandi cambiamenti, conobbe trionfi e sconfitte, ma la sua oratoria seppe vincere l’oblio.

Avvocato e politico di successo
Marco Tullio Cicerone era originario di una famiglia della classe equestre da poco ammessa al cursus honorum, vale a dire alle cariche pubbliche. Era, dunque, un homo novus, vale a dire il primo membro della sua famiglia a ricoprire un posto nella gerarchia politica, e come tale guardato con una certa sufficienza dall’aristocrazia. Ma Cicerone aveva dalla sua, accanto alle innate capacità intellettuali, un’ottima educazione. A Roma aveva seguito le lezioni di diritto tenute dai giuristi più famosi, ricevendo un’eccellente istruzione nella lingua e nella poesia greca nonché in filosofia. […] La sua affermazione come avvocato risale, nell’80 a.C., alla difesa di Sesto Roscio Amerino, un cittadino accusato di parricidio e difeso da Quinto Ortensio Ortalo, il più celebre oratore dell’epoca: la clamorosa vittoria gli fece guadagnare una certa popolarità, destinata a crescere quando nel 75 a.C., dopo due anni trascorsi in Grecia a perfezionare i suoi studi, iniziò la sua carriera politica come questore in Sicilia. Colpiti e ammirati dall’onestà della sua amministrazione, infatti, nel 70 a.C. i siciliani gli affidarono una causa contro Gaio Licinio Verre, già governatore dell’isola, accusato e colpevole di gravissime malversazioni. […] La massa delle prove raccolte da Cicerone era tale che Verre, comprendendo di non avere scampo, evitò la condanna scegliendo l’esilio. Ma Cicerone non si arrese e scrisse altre cinque orazioni, le Verrine, in cui elencava le sue malefatte, svelando un quadro terrificante di corruzione e ferocia. […] Pur essendo ormai processualmente inutili, queste orazioni, declamate pubblicamente e pubblicate, moltiplicarono la fama di Cicerone che, ormai lanciato nella scena politica e avvocato di grido ricercato dai migliori clienti, proseguì il cursus honorum prima come pretore e poi, nell’anno 64 a.C., come console per l’anno successivo, nel quale si verificò l’episodio più importante per la sua carriera politica: la repressione della congiura di Catilina.

I nemici e le sconfitte
[…] Ma Cicerone non riuscì a godersi tranquillamente la gloria (e il denaro) conquistata come oratore. Pochi anni dopo (nel 60 a.C.) fu formato il primo triumvirato […]. Chiamato anch’egli a far parte del gruppo, Cicerone rifiutò, temendo di inimicarsi gli aristocratici conservatori cui era ormai strettamente legato. E questo gli procurò non pochi problemi: un suo nemico personale, Publio Clodio, eletto tribuno della plebe, fece promulgare una legge che puniva con la morte il magistrato che – come Cicerone con i congiurati di Catilina – avesse mandato a morte una persona senza concederle di appellarsi al popolo. Per evitare la condanna Cicerone fu costretto all’esilio, e la sua casa saccheggiata dalle bande di Clodio e quindi sequestrata (58 a.C.). Meno di un anno dopo – richiamato con il consenso del senato e l’appoggio di Pompeo – ottenne la restituzione della propria abitazione con un’orazione (Pro domo sua) […]. Ma i grandi giochi della politica erano ormai troppo pericolosi: dopo la morte in guerra di Crasso, la lotta per il potere opponeva ormai Pompeo (sostenuto dal senato e anche da Cicerone) e Cesare […]. A Cicerone, schieratosi dalla parte sbagliata, la vita fu risparmiata grazie alla generosità di Cesare […]. I giochi non erano però terminati. La congiura contro Giulio Cesare rimise in moto il sanguinario meccanismo delle guerre civili, questa volta tra Marco Antonio (a capo dei cesariani) e i cesaricidi Bruto e Cassio, vicini al senato, di cui Cicerone ovviamente prese le parti, pronunziando contro Antonio una serie di orazioni pubbliche violentissime (le Filippiche). Tuttavia, nel giro di pochi mesi Antonio si accordò con il giovanissimo Ottaviano […]. Bruto e gli altri congiurati dovettero riparare in Grecia, per riorganizzare le proprie forze, mentre Antonio e Ottaviano formavano il secondo triumvirato, compilando le liste di proscrizione contro i principali nemici: tra i quali, in primo luogo, Cicerone, che fu costretto a rifugiarsi nella sua villa di Formia. Mentre cercava di salvarsi imbarcandosi, fu raggiunto da un drappello di soldati guidati da un centurione chiamato Erennio, che non ebbe alcun problema a sgozzarlo con la sua stessa spada. […] I suoi talenti politici non erano [stati] al passo con le sue ambizioni: egli non seppe capire, o accettare, il cambiamento dei tempi. La sua mente, pur acuta, non giunse a comprendere che Giulio Cesare aveva dato alla storia romana una svolta irreversibile, che la res publica, i cui confini si estendevano ormai dal Reno e dal Mare del Nord alle sabbie della Siria e dell’Egitto, non poteva più essere governata da un pugno di rissose famiglie aristocratiche, e che la grande società che si era formata in quei turbinosi decenni richiedeva un assetto politico del tutto nuovo.

 

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