La pace, il lato femminile dell’Iliade
Lo scrittore contemporaneo Alessandro Baricco ha proposto una traduzione di alcuni brani dell’Iliade. Al termine del testo tradotto, Baricco riflette sulla pace e sul ruolo delle donne nell’Iliade: un’opera che a prima vista non è altro che un’esaltazione della “bellezza della guerra”, un “monumento alla guerra”.
Una delle cose sorprendenti dell’Iliade è la forza, direi la compassione, con cui vi sono tramandate le ragioni dei vinti. È una storia scritta dai vincitori, eppure nella memoria rimangono anche, se non soprattutto, le figure umane dei Troiani. Priamo, Ettore, Andromaca, perfino piccoli personaggi come Pàndaro o Sarpedonte. Questa capacità, sovrannaturale, di essere voce dell’umanità tutta e non solo di se stessi, l’ho ritrovata lavorando al testo e scoprendo come i Greci, nell’Iliade, abbiano tramandato, tra le righe di un monumento alla guerra, la memoria di un amore ostinato per la pace. A prima vista non te ne accorgi, accecato dai bagliori delle armi e degli eroi. Ma nella penombra della riflessione viene fuori un’Iliade che non ti aspetti. Vorrei dire: il lato femminile dell’Iliade. Sono spesso le donne a pronunciare, senza mediazioni, il desiderio di pace. Relegate ai margini del combattimento, incarnano l’ipotesi ostinata e quasi clandestina di una civiltà alternativa, libera dal dovere della guerra. Sono convinte che si potrebbe vivere in un modo diverso, e lo dicono.
Nel modo più chiaro lo dicono nel VI libro, piccolo capolavoro di geometria sentimentale. In un tempo sospeso, vuoto, rubato alla battaglia, Ettore entra in città e incontra tre donne: ed è come un viaggio nell’altra faccia del mondo. A ben vedere tutt’e tre pronunciano una stessa supplica, pace, ma ognuna con la propria tonalità sentimentale. La madre lo invita a pregare. Elena lo invita al suo fianco, a riposarsi (e anche a qualcosa di più, forse). Andromaca, alla fine, gli chiede di essere padre e marito prima che eroe e combattente. Soprattutto in questo ultimo dialogo, la sintesi è di un chiarore quasi didascalico: due mondi possibili stanno uno di fronte all’altro, e ognuno ha le sue ragioni. Più legnose, cieche, quelle di Ettore: moderne, tanto più umane, quelle di Andromaca. Non è mirabile che una civiltà maschilista e guerriera come quella dei Greci abbia scelto di tramandare, per sempre, la voce delle donne e il loro desiderio di pace? Lo si impara dalla loro voce, il lato femminile dell’Iliade: ma una volta imparato, lo si ritrova, poi, dappertutto. Sfumato, impercettibile, ma incredibilmente tenace.