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Don Luigi Sturzo, tutto Chiesa e politica


L'autore

Marco Invernizzi (Milano 1952) - Collabora con Cristianità e diverse altre testate giornalistiche cattoliche. Ha pubblicato diversi scritti sulla storia della Chiesa e del movimento cattolico nel Novecento, fra cui L’Unione Elettorale Cattolica Italiana. 1906-1919. Un modello di impegno politico unitario dei cattolici (1993) e Luigi Gedda e il movimento cattolico in Italia (2012).

L’ideale politico del «popolarismo»

Luigi Sturzo nacque a Caltagirone il 26 novembre del 1871. Il padre Felice era barone di Atripalda e apparteneva a un’importante famiglia dell’aristocrazia agraria siciliana. Il futuro fondatore del Partito Popolare crebbe in una famiglia profondamente religiosa: Mario, uno dei suoi sei fratelli, diventò vescovo e la sorella Remigia suora. Lui stesso venne ordinato sacerdote nel maggio del 1894 e conseguì la laurea nel 1898 presso l’Università Gregoriana di Roma.

Come disse più volte, nel 1891 l’enciclica di Leone XIII Rerum novarum gli aprì «una prima finestra nel mondo». Cominciò così a trascurare i suoi interessi artistici e letterari per dedicarsi all’impegno sociale e politico. Nel 1898 tornò definitivamente a Caltagirone e fondò prima un comitato diocesano delle associazioni di operai, di agricoltori e di studenti, poi una cassa rurale e una società di mutuo soccorso per artigiani; si impegnò anche con il giornale «La Voce di Costantino», da lui diretto e in gran parte redatto.

Personalità profondamente pragmatica, fece un’intensa esperienza amministrativa nella sua città d’origine dove nel 1905 venne eletto prosindaco (sindaco non lo sarebbe diventato mai perché lo impediva la sua ordinazione sacerdotale) e consigliere provinciale, cariche che manterrà fino al 1920. Cominciò da questo momento l’elaborazione di un’idea politica nuova che denominò «popolarismo ». Sturzo chiarì che cosa si dovesse intendere con questa definizione in un discorso tenuto a Caltagirone il 29 dicembre 1905: un orientamento sociale in cui il popolo sia il protagonista; un deciso rifiuto del centralismo statale a favore dello sviluppo di autonomie locali forti; una limpida ispirazione evangelica. È un programma democratico cristiano che deve molto non solo all’enciclica di Leone XIII ma anche a Romolo Murri, il sacerdote che Sturzo frequentò assiduamente tra il 1898 e il 1906. Comune ai due era l’idea della costituzione di un moderno partito di massa come naturale sbocco del movimento cattolico. Come il movimento cattolico può essere considerato la proiezione del «popolo di Dio» nella sfera sociale, così il partito è la proiezione dello stesso popolo nella sfera politica, sostegno della società per idealità, vita morale, impegno, operosità.

Don Luigi Sturzo in tarda età.

Né destra, né sinistra: al centro

L’idea di «partito cattolico» non trovò l’adesione né di papa Leone XIII né quella di Pio X, poiché entrambi pensavano che «la politica divide, mentre la religione riunisce ». Bisogna attendere la fine della prima guerra mondiale perché si realizzi il progetto di Sturzo. Il 18 gennaio 1919, dall’Albergo di santa Chiara di Roma, il prete siciliano diffuse il famoso appello «A tutti i liberi e forti», segnando l’atto di nascita del Partito Popolare Italiano.

Il nuovo partito combatté decisamente sia il «nazionalismo esagerato» sia il classismo marxista, conquistando così quella posizione di centro che caratterizzava il movimento cattolico europeo. Sturzo voleva che il nuovo partito diventasse l’ago della bilancia del sistema politico italiano, aiutato in questo dalla crisi che stava attraversando la vecchia tradizione liberale risorgimentale.

Egli attaccò la classe dirigente liberale e chiese con insistenza un programma di riforme fondato sul decentramento e sulle autonomie istituzionali, amministrative e sindacali. Avvenne su questo punto la rottura con Giolitti. Nel 1922 infatti, dopo la crisi del governo Bonomi, Giolitti tentò di riprendere il potere rafforzando il vacillante sistema parlamentare attraverso un’intesa con Orlando e De Nicola, ma Sturzo si oppose con tutte le sue forze. Il sacerdote siciliano non percepì di essere in un momento di emergenza politica di portata internazionale e per volere il massimo non riuscì neppure a salvare quel minimo che era forse possibile.

 

In esilio

Da quella drammatica crisi del 1922 iniziò per Sturzo un processo di emarginazione dalla vita politica e sociale italiana. Prima fu costretto a entrare nel governo di coalizione formato da Mussolini per uscirne però quasi subito. In un discorso tenuto a Torino il 12 aprile 1923 al Congresso del Partito Popolare affermò con decisione l’incompatibilità tra popolarismo e fascismo, provocando così la fine della tormentata alleanza di governo. Questa scelta comportò le sue forzate dimissioni da segretario del Partito Popolare. Fu infatti un energico intervento del cardinale Gasparri presso il fratello vescovo a convincere Sturzo a ritirarsi prima dall’attività politica e poi a lasciare l’Italia per ritirarsi a Londra.

Nella capitale inglese rimase fino al 1940, quindi si trasferì a New York fino al 1946, anno del suo rientro in Italia.

Durante l’esilio Sturzo si dedicò alla scrittura di diverse opere storiche e politiche. Tornato in patria si ritirò a Roma presso un convento delle Canossiane, senza partecipare alle attività di nessun partito, ma conservando rapporti con molti uomini della neonata Democrazia Cristiana.

Negli ultimi anni della sua vita ebbe un atteggiamento molto critico verso le scelte economiche e politiche della classe dirigente al potere. Egli contrastò duramente quella che più volte definì l’«aria greve e pesante dello statalismo» e rimproverò anche a De Gasperi la riforma agraria come passo verso lo statalismo comunista. L’osservazione della società americana lo aveva sempre più confermato nel principio del primato della società civile sullo Stato, e nella convinzione che l’intervento dei pubblici poteri nel campo dell’economia e dell’educazione dovesse essere ridotto al minimo. Ricevette la nomina di senatore a vita il 17 dicembre 1952 e s’iscrisse al gruppo misto. Morì a Roma l’8 agosto 1959.

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