Il prigioniero n. 7047: Antonio Gramsci
7047. Era il suo numero di matricola nel carcere fascista dove rimase per 11 anni, quasi fino alla sua morte. Fu tra i fondatori del Partito comunista italiano. È stato uno dei più importanti teorici marxisti del Novecento
La politica come passione
Antonio Gramsci nacque ad Ales (Cagliari), in Sardegna, il 22 gennaio 1891, quarto di sette figli.
All’età di tre anni, dopo una caduta, fu colpito dalla malattia che gli lasciò una malformazione fisica: la schiena andrà lentamente incurvandosi senza possibilità di guarigione. Nel 1905 iniziò a leggere la stampa socialista che il fratello Gennaro gli inviava da Torino e, frequentando il liceo Dettori di Cagliari, si appassionò alle iniziative politiche per l’affermazione del libero pensiero e a discussioni di carattere culturale.
Lettore vorace, in particolare di Croce e Salvemini, rivelò anche spiccatissime tendenze per le scienze esatte e per la matematica.
Conseguita la licenza liceale, nel 1911 vinse una borsa di studio e si iscrisse alla facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino. All’epoca il capoluogo piemontese era già una città industrializzata, dominata da imprese come la FIAT e la LANCIA, di cui Gramsci studiò i processi produttivi, la tecnologia e l’organizzazione interna.
Nel 1915 entrò nella redazione torinese dell’«Avanti!», organo del Partito Socialista Italiano, scrivendo non solo di politica ma occupandosi anche di critica teatrale e di note di costume nella rubrica «Sotto la Mole». Nel 1919, insieme a Tasca, Terracini e Togliatti, Gramsci diede vita al settimanale «l’Ordine nuovo» che si schierò per l’adesione del PSI all’Internazionale Comunista e in favore del movimento dei consigli di fabbrica.
La scissione di Livorno
Dopo la conclusione delle occupazioni delle fabbriche nel «biennio rosso», un senso di delusione e di sconfitta colpì gran parte del movimento operaio. Lo stesso Lenin disse: «Durante l’occupazione delle fabbriche si è forse rivelato un comunista?».
Il XVII Congresso del PSI apertosi a Livorno il 15 gennaio 1921 mostrò un partito ormai irrimediabilmente diviso. Alle due correnti tradizionali (i riformisti di Turati e i massimalisti di Serrati) s’erano aggiunti i comunisti guidati da Bordiga. Volarono invettive pesanti: i riformisti furono accusati di essere dei vili, degli inetti, praticamente dei complici del fascismo. Il 21 gennaio i comunisti, al canto dell’Internazionale, abbandonarono la sala del teatro Goldoni dove si stava svolgendo il congresso e si recarono in quella del teatro San Marco.
Qui dichiararono la costituzione del Partito Comunista d’Italia. Bordiga fu eletto segretario; Gramsci, Terracini, Greco e Misiano entrarono nel comitato centrale.
Gramsci inizialmente non aveva appoggiato l’idea della scissione, poiché riteneva che la classe operaia sarebbe stata indebolita dalla frammentazione. Furono probabilmente le durissime posizioni di Lenin verso Serrati a fargli cambiare idea.
In carcere
Nel maggio del 1922 Gramsci partì per Mosca come delegato del Partito Comunista d’Italia nell’esecutivo dell’Internazionale. In Russia s’innamorò di Giulia Schucht che diventò sua moglie e dalla quale ebbe due figli.
Dopo la violenta campagna elettorale del 1924 e l’assassinio di Giacomo Matteotti, collaborò con gli altri partiti della minoranza parlamentare per una comune battaglia d’opposizione. Sempre nello stesso anno fondò un nuovo quotidiano, l’«Unità».
L’8 novembre del 1926, a seguito delle leggi eccezionali del regime fascista contro gli oppositori, Gramsci fu arrestato e rinchiuso nel carcere di Regina Coeli a Roma, con gran parte del gruppo dirigente comunista. Al processo fu condannato a oltre vent’anni di reclusione. A partire dall’anno successivo, nel carcere di Turi, ottenne il permesso di scrivere in cella e iniziò la stesura dei Quaderni del carcere, testi ricchi di riflessioni personali, politiche e culturali. Ne avrebbe scritti in tutto 33.
Negli anni successivi le sue condizioni di salute si aggravarono e, nel 1934, fu trasferito nel carcere-ospedale di Formia. Quando finalmente tornò in libertà nel 1937, per amnistia, dovette essere ricoverato in gravissime condizioni. Morì il 27 aprile.