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Protagonisti
La libertà non ha prezzo - Introduzione Don Luigi Sturzo, tutto Chiesa e politica Il prigioniero n. 7047: Antonio Gramsci I sette anni di Piero Gobetti

I sette anni di Piero Gobetti


L'autore
Aldo Cazzullo

Aldo Cazzullo (Alba [CN] 1966) - Giornalista e scrittore. Ha collaborato a La Stampa passando poi al Corriere della Sera. Ha dedicato diverse ricerche ai caratteri dell’Italia contemporanea e della storia recente del Paese. Fra gli scritti: I Torinesi (2002) L’Italia s’è ridesta. Viaggio nel Paese che resiste e rinasce (2012); La guerra dei nostri nonni. 1915-1918: Storie di uomini, donne, famiglie (2014); Le donne erediteranno la terra. Il nostro sarà il secolo del sorpasso (2016).

Fondatore di tre riviste e di una casa editrice, ammiratore di Gramsci, Einaudi e Agnelli: la storia di un giovane antifascista geniale. Concentrata in sette anni

Sette anni

È nel breve e drammatico volgere di sette anni (1918-1925) che Piero Gobetti appare e scompare sulla scena culturale e politica dell’Italia fascista: fonda e dirige tre riviste; collabora con venti giornali; pubblica libri e inventa una casa editrice; intrattiene epistolari con Benedetto Croce; viene arrestato due volte e aggredito dai fascisti altre due; va in esilio a Parigi e muore per le conseguenze di un’aggressione fascista. Tutto in sette anni.

Piero Gobetti in una foto dell'epoca.

«Energie Nove»

Gobetti viene dalla piccola borghesia «calvinista», come lui stesso la definisce, la classe della serietà, del lavoro quotidiano, dell’impegno. Figlio unico dei proprietari della piccola drogheria di via XX Settembre a Torino – a due isolati dal negozio di primizie della famiglia Prospero, cui apparteneva Ada, che diventerà sua moglie, collaboratrice e custode della sua memoria – Piero dedica le vacanze estive, tra il liceo e l’università, alla fondazione della prima rivista, «Energie Nove». È il 1918 e Gobetti ha diciassette anni: essendo interessato all’economia, gli pare naturale chiamare a collaborare l’economista più insigne, Luigi Einaudi. La matricola figlio del droghiere bussa così al Laboratorio universitario di economia politica. Anziché metterlo alla porta, Einaudi accetta.

Quella in cui opera Einaudi è l’università che si prepara ad accettare il compromesso con il fascismo, ma è anche il luogo dei maestri veri, che credono all’educazione dei migliori, alla formazione dei giovani, all’uguaglianza delle possibilità, alla trasmissione del sapere senza pregiudizio.

La maturità di quel direttore adolescente appare anche oggi prodigiosa: al periodico collaborano filosofi come Ernesto Codignola e Santino Caramella, critici letterari come Mario Fubini e Natalino Sapegno, intellettuali marxisti come Antonio Gramsci e Angelo Tasca, accanto a nazionalisti destinati a passare successivamente al fascismo, come Franco Ciarlantini e Balbino Giuliano. Di economia, oltre a Einaudi, scrive Francesco Saverio Nitti, di arti figurative Gigi Chessa (e Felice Casorati appare tra gli abbonati); nel numero speciale del 31 ottobre 1919, dedicato ai problemi della scuola media, la trattazione dell’insegnamento della filosofia è affidata a Giovanni Gentile.

Colmo di ammirazione per l’autorità di Salvemini (e quindi ostile al pragmatico Giolitti), Gobetti esprime l’intento di «portare una fresca onda di spiritualità nella gretta cultura d’oggi», vagheggia di riunire le forze sane in una Lega democratica, capace di ridestare i valori e spazzar via l’immoralità politica dilagante.

Dopo sedici mesi «Energie Nove» sospese le pubblicazioni, col dichiarato proposito di riprendere dopo una pausa di riflessione; fu invece un gesto conclusivo, ma non un’abdicazione.

Piero Gobetti con la moglie Ada Prospero.

Una nuova coscienza civile

Da Einaudi il giovane Piero mutua alcuni princìpi: la diffidenza nei confronti dello statalismo e la matrice liberale, che Gobetti collega a valori e prassi diversi dai mediocri esempi del ceto politico coevo. Rifiuta il pensiero economico marxiano, ma non il concetto di lotta di classe, che considera da una prospettiva opposta a quella di Einaudi: il vecchio professore si schiera con il capitale; il giovane allevo, invece, vede negli operai torinesi che occupano le fabbriche la spinta propulsiva della rivoluzione culturale che egli intendeva promuovere.

Certo Gobetti non fu mai socialista, nel senso di una scelta politica, e tanto meno marxista: semmai fu l’auspice di un «nuovo umanesimo», vissuto nella libertà. Di qui la necessità, sia pure vagamente percepita agli inizi, di gettare le basi di una nuova cultura, pienamente liberale, ma non necessariamente liberista e, tanto meno reazionaria, bensì aperta ai bisogni della società.

Più che alla formazione di una nuova classe dirigente, Gobetti pensava alla crescita di una nuova coscienza civile.

Era inevitabile che cercasse risonanze e consensi fra gli uomini di cultura, (a chi parlare, se non attraverso giornali e libri?), ma verosimilmente non pensò mai a una classe-guida, a una élite privilegiata di «illuminati»: come la guerra aveva coinvolto tutti, così il rinnovamento doveva investire ogni cittadino, sia pure con gradi diversi di consapevolezza critica. «Rivoluzione liberale».

Forse accadde a Gobetti di fare confusione: la rivista che fonda nel febbraio 1922 ha un titolo che pare un ossimoro, «Rivoluzione liberale». Forse il suo tentativo di conciliare gli opposti, di tenere insieme Einaudi e Marx, Croce e Salvemini, Agnelli «cavaliere solitario del capitalismo italiano » e i giovani operai che vorrebbero prendersi la FIAT è davvero velleitario. C’è però un nemico comune da combattere, e sul fascismo il giovane Gobetti, a differenza dei vecchi liberali, non si fa illusioni: si schiera con la nettezza e l’intransigenza che gli costeranno la vita.

Se c’è un punto di intesa non solo con Gramsci, ma soprattutto con la tradizione civile di Torino, è la concezione dell’intellettuale, la visione della cultura come attività congiunta alla politica, il rifiuto dell’«accademia» e dell’«arcadia», l’attenzione agli avvenimenti della scena internazionale, il culto dell’illuminismo. Piero studia le opere di Alfieri e il Risorgimento, scrive di teatro, fa in tempo a dimostrare straordinario talento di editore pubblicando nel 1925, gli Ossi di seppia di Montale e inventando «Il Baretti», un supplemento letterario alla «Rivoluzione liberale».

Le aggressioni, la censura, la persecuzione dei collaboratori, la resa di altri, il rigore che gli vieta qualsiasi accomodamento impongono a Gobetti, che nel frattempo aveva avuto un figlio dalla moglie Ada, la via dell’esilio.

In una fredda giornata del gennaio 1926 lascia la sua casa di via Fabro, a Torino, con destinazione Parigi. Si sente sconfitto, non vinto: non sa che sta andando a morire.

Piero Gobetti: dal Manifesto della Rivoluzione Liberale (1922)

Piero Gobetti: dal Manifesto della Rivoluzione Liberale (1922)

«L’incapacità dell’Italia a costituirsi in organismo unitario è essenzialmente incapacità nei cittadini di formarsi una coscienza dello Stato e di recare alla realtà vivente dell’organizzazione sociale la loro pratica adesione. L’indagine storica che qui riassumeremo deve spiegare:

1) la mancanza di una classe dirigente come classe politica;
2) la mancanza di una vita economica moderna ossia di una classe tecnica progredita (lavoro qualificato, intraprenditori, risparmiatori);
3) la mancanza di una coscienza e di un diretto esercizio della libertà.

Privi di libertà, fummo privi di lotta politica aperta. Mancò il primo principio dell’educazione politica ossia della scelta delle classi dirigenti. Mentre la vitalità dello Stato, presupponendo l’adesione – in qualunque forma – dei cittadini, si fonda precisamente sulla capacità di ognuno di agire liberamente e di realizzare proprio per questa via la necessaria opera di partecipazione, controllo, opposizione».

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