Sommario
Storia di copertina
Luigi XVI: un uomo goffo che però seppe morire - Introduzione Il re sonnecchiava mentre si preparava la rivoluzione Luigi è già stato giudicato! Il processo e la condanna Le ultime ore del re È lecito uccidere il tiranno?

È lecito uccidere il tiranno?


L'autore
Norberto Bobbio

Norberto Bobbio (1909-2004) fu un membro del Partito d’azione, filosofo del diritto e professore di Filosofia della politica all’Università di Torino. Nel 1984 fu nominato senatore a vita. Il suo pensiero fu caratterizzato dalla proposta di conciliare le esigenze di giustizia sociale ed economica con le esigenze delle libertà democratiche, attraverso il potenziamento e la creazione di istituti democratici. Tra le sue opere: Il futuro della democrazia (1984); Stato, governo, società (1985); L’età dei diritti (1990); Destra e sinistra.. Ragioni e significati di una distinzione politica (1994); Dialogo sulla Repubblica (2001) con M. Viroli.

Trattato da filosofi come Locke che ne giustifica il fondamento nella violazione del contratto sociale, rappresentato da letterati come Shakespeare o Alfieri per dare vigore alla tragedia.

È lecito uccidere il tiranno? [...] Il problema è vecchio e le diverse possibili soluzioni altrettanto. Per fare qualche esempio, in un’epoca in cui le guerre di religione avevano favorito la nascita di dottrine che predicavano il tirannicidio, Hobbes collocava la massima «È lecito uccidere il tiranno» fra le teorie sediziose che in uno Stato ben ordinato avrebbero dovuto essere proibite [...].

Nell’età della Rivoluzione francese, in cui venivano celebrati in cattedrale feste e riti in onore di Bruto, Kant affermò che chiunque avesse anche il minimo senso dei diritti dell’umanità non poteva non essere scosso da un «brivido di orrore» di fronte all’esecuzione solenne di Carlo I in Inghilterra e di Luigi XVI in Francia.

Come tutti i problemi morali, anche il problema della liceità del tirannicidio non è di facile soluzione. Anzi, non ha una soluzione che possa essere data e accolta una volta per sempre, perché ogni caso è diverso da tutti gli altri. La soluzione dipende dalle circostanze di luogo e di tempo, dalla persona contro cui l’atto si dirige, dalle persone che lo compiono, dalla gravità delle colpe e dalla impossibilità di ricorrere ad altri rimedi. Avevano ragione o torto i cospiratori del 20 luglio 1944 nel tentare di uccidere Hitler?1 Aveva le stesse ragioni l’anarchico Bresci nell’uccidere Umberto I?2 [...]

 

1- Il 20 luglio 1944 un gruppo di ufficiali tedeschi preparò un attentato, che fallì, per eliminare Hitler e stipulare un armistizio con gli angloamericani. La repressione fu molto dura e numerosi ufficiali coinvolti si suicidarono.

2- L’assassinio del re Umberto I fu commesso nel 1900 per vendicare le vittime dell’eccidio di Milano del 1898, ordinato dal generale Bava Beccaris per reprimere alcune manifestazioni popolari contro l’aumento del prezzo del pane.

Antoine-François Callet, Luigi XVI in costume regale, 1788. Versailles, Museo della reggia.

Il problema è reso più complesso dal fatto che la stessa azione può essere sempre giudicata con due criteri diversi: o in base a regole precostituite che debbono essere osservate o in base ai risultati che si ritiene debbano essere raggiunti. I due giudizi non coincidono quasi mai: osservando le buone regole spesso si ottengono cattivi risultati; cercando di ottenere buoni risultati, molte buone regole vengono coscientemente e tranquillamente calpestate. Se si giudica l’assassinio del tiranno in base alle regole precostituite, è evidente che esso contravviene alla norma «Non uccidere», che è una delle leggi fondamentali della morale di ogni popolo e in ogni tempo.

Come tale dovrebbe essere condannato. Ma non vi è regola senza eccezione. Non è lecito uccidere il nemico durante una guerra giusta? Non è sempre stata riconosciuta come guerra giusta la guerra di difesa? Non può allora essere estesa al tiranno considerato come nemico interno l’eccezione prevista per il nemico esterno?

Il tema del tirannicidio va esaminato caso per caso, valutando la contraddizione fra princìpi morali e gli obiettivi positivi che si perseguono

[...] Partendo dal punto di vista dei risultati, il giudizio non diventa né più facile né più limpido. Anzitutto il risultato deve essere se non certo altamente probabile. [...]

In secondo luogo, si deve prevedere che il risultato non solo sia perseguibile con un alto grado di probabilità, ma che, se raggiunto, sia tale da non lasciare adito a dubbi sulla sua convenienza o opportunità, nel senso che, messi sui due piatti della bilancia il male necessario (nell’uso di certi mezzi) e il bene possibile, il secondo prevalga. Inutile dire quanto questa soluzione sia difficile. [...]

Nel dramma di Camus, I giusti, uno dei protagonisti, il rivoluzionario, proclama: «Noi uccidiamo per costruire un mondo ove più nessuno ucciderà», applicando la massima secondo cui il fine giustifica i mezzi, e annunciando un fine che non può non essere universalmente riconosciuto come moralmente nobile.

Ma la sua compagna lo interrompe: «E se così non fosse?». Quante volte nella storia è stata compiuta un’azione moralmente riprovevole con intenzione di perseguire uno scopo nobile, ma poi «non è stato così»?

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