Sommario
Storia di copertina
Luigi XVI: un uomo goffo che però seppe morire - Introduzione Il re sonnecchiava mentre si preparava la rivoluzione Luigi è già stato giudicato! Il processo e la condanna Le ultime ore del re È lecito uccidere il tiranno?

Il re sonnecchiava mentre si preparava la rivoluzione


Nell’intervista di Lucio Caracciolo, lo storico Lucio Villari analizza gli errori commessi dal re nelle tre giornate che diedero il via alla rivoluzione: il 5 maggio, il 20 giugno e il 14 luglio 1789.

Antoine-François Callet, Ritratto di Luigi XVI, post 1786. Parigi, Museo Carnavalet.

Il re si rendeva conto della tempesta in arrivo?

Luigi XVI non era certo un genio politico. Fu certamente un grave errore non sciogliere il nodo procedurale [relativo al sistema di votazione], ripetendo anzi l’antico cerimoniale del 1614. Il Terzo stato ebbe l’impressione, fondata, che il re non si curasse troppo delle sue rivendicazioni. Credo che in fondo il re temesse più i nobili che la borghesia. Era l’aristocrazia che aveva messo in discussione le prerogative e l’autorità del sovrano.

 

Dove si riunirono gli Stati Generali?

Nel Palazzo dei Menus Plaisirs [Piccoli Piaceri], in una stanza provvisoria di legno e stucco, ricavata all’interno di un capannone e dotata di pessima acustica. Ma tre giorni prima di quel 5 maggio, il Terzo stato aveva avuto modo di saggiare l’indifferenza del re, il quale lo ricevette in silenzio nella camera da letto. Solo un certo Gérard, vestito da contadino bretone, fu apostrofato dal monarca con un «Buongiorno, buonuomo».

 

Com’erano vestiti i deputati del Terzo stato?

Tutti in nero, evidentemente. Una divisa umiliante, a fronte dei ricchi abiti dei nobili e dei prelati. Il 4 maggio, durante la processione dei tre ordini che precedette l’inaugurazione dell’assemblea, la distanza fra i tre ordini si coglieva a occhio nudo. In testa al corteo, le vesti scarlatte e viola del clero, poi i nobili distinguibili per i cappelli alla Enrico IV, i vestiti dorati, la spada al fianco. Infine la massa nera del Terzo stato. Durante la predica di monsignor La Fare il re sonnecchiava.

 

Arriviamo al fatidico 5 maggio. Siamo in grado di ricostruire esattamente che cosa avvenne?

Certamente, i Francesi erano informati dettagliatamente dai giornali come il «Moniteur» o il «Journal de Paris», poi Il re sonnecchiava mentre si preparava la rivoluzione ci sono i resoconti stenografici. [...] Il discorso di Luigi XVI fu breve e insignificante. Non vi era alcun accenno alla necessità di riforme. Per di più Necker, subito dopo, inflisse agli astanti la lettura di una dettagliata relazione finanziaria, che durò tre ore. A questo punto il re si alzò. Nulla era stato deciso. Il giorno dopo i tre ordini si riunirono separatamente [...], con delusione della borghesia, [...] che pretendeva la formazione di un vero Parlamento. [...] Dopo un mese di inutili negoziati, il 17 giugno, il Terzo stato si autoproclamò Assemblea Nazionale; [...] dopo due giorni si aggregò anche parte del clero.

 

Immagine commentata - La reggia di Versailles

Immagine commentata - La presa della Bastiglia

Louis-Charles-Auguste Couder, Inaugurazione degli Stati Generali, 5 maggio 1789, 1839. Versailles, Museo della reggia.

Eccoci alla storica giornata del 20 giugno.

Quella mattina i deputati del Terzo stato trovarono sbarrata la porta della loro sala. Motivo: lavori in corso. Un espediente. Furenti i borghesi si radunarono nella vicina Sala della pallacorda, dove prestarono il celebre giuramento in cui dichiaravano che non si sarebbero sciolti prima di aver dato alla Francia una costituzione.

 

E il re come pensava di reagire?

Vorrei sottolineare ancora l’importanza della trasformazione istituzionale realizzata dai deputati del Terzo stato, senza spargimento di sangue. Autodefinendosi Assemblea Nazionale, di fatto essi svuotavano gli Stati Generali di ogni significato. Era un vero e proprio cambiamento di regime. I deputati non accettavano più di ridursi alla registrazione delle volontà del monarca, ma, come rappresentanti della nazione, pretendevano di fissare la Costituzione. [...] Mi pare che sia stata un’operazione politica geniale. Naturalmente il re doveva e voleva reagire. Ma i ministri erano divisi. E la sua famiglia viveva ore penose. Il 4 giugno il delfino, il figlio del re, primo nella linea di successione al trono, era morto. Forse questa tristissima circostanza accentuò la sua innata debolezza.

Il 23 giugno, finalmente, il re si rivolse agli Stati con un discorso aspro e minaccioso nel tono, anche se con qualche promessa di apertura e di riforme. Le concessioni erano tardive, e in più i deputati del Terzo stato erano inferociti per aver dovuto aspettare sotto la pioggia l’arrivo regale del corteo, mentre i privilegiati erano stati ammessi direttamente nell’aula. Le parole finali del re suonavano come liquidazione dell’Assemblea Nazionale: «Io vi ordino di separarvi immediatamente e di recarvi domani mattina, ciascuno nelle sale assegnate al proprio ordine, per riprendere le vostre deliberazioni». Poi il marchese Dreux-Brézé, gran maestro di cerimonie, visto che il Terzo stato non si muoveva intervenne: «Signori, conoscete le intenzioni del re». Il vecchio Bailly, decano del Terzo stato, rispose: «La nazione riunita in assemblea non può ricevere ordini».

 

E Luigi XVI?

Dapprima diede ordine alle guardie del corpo di irrompere nella sala Menus Plaisirs per disperdere i deputati ribelli. Ma vedendo avvicinarsi i soldati, alcuni fra i nobili riformisti misero mano alla spada. Il re non osò far sciabolare i suoi nobili: «Ebbene, si arrangino! Vogliono restare? E che restino!». Questa frase gli verrà sempre rimproverata. Significava la capitolazione.

 

Il 14 luglio, giorno della presa della Bastiglia, [...] il re avrebbe forse potuto fuggire, e poi tornare a Parigi con truppe fedeli per ristabilire la propria autorità.

Ma l’esercito si era rivelato inaffidabile. Il fratello del re, il conte d’Artois, lasciò Parigi insieme a un primo drappello di nobili. Cominciava l’emigrazione. Poi, è vero, quando il re si trovò ostaggio dei rivoluzionari, rimpianse di essersi lasciato sfuggire il momento giusto: «Sì, sarei dovuto andarmene il 14 luglio. Ma come fare quando il comandante delle truppe, maresciallo Broglie, mi diceva: «Sire, noi possiamo andare a Metz, ma che cosa faremo quando saremo là?». Ho lasciato passare l’attimo propizio che poi non ho più ritrovato».

Condividi