Sommario
Vita quotidiana
L'insostenibile leggerezza della Belle époque - Introduzione Liberarsi del superfluo Il terremoto, una sciagura chiamata «u binidittu» Il grido delle suffragette

Il grido delle suffragette


L'autore

Natalia Aspesi (Milano 1929), giornalista e scrittrice, si occupa di cinema e costume per il quotidiano La Repubblica, con particolare riguardo alla realtà delle donne. Fra gli scritti: Questioni di cuore. Amori e sentimenti degli italiani all’ombra del Duemila (1994); Delle donne non si sa niente. Le italiane. Come erano, come sono, come saranno (2015).

Le eroine del movimento per l’emancipazione delle donne lottarono per il diritto di voto. In modo pacifico? Non sempre. E a volte pagarono con la vita

Il sacrificio di Emily Davison

Il 5 giugno 1913, all’ippodromo inglese di Epsom, Emily Wilding Davison si ferì così gravemente da morire tre giorni dopo. Emily voleva attirare l’attenzione su di sé tentando di fermare un cavallo in corsa, ma l’animale la travolse uccidendola.

La Davison era una «suffragetta», una donna che si batteva perché nel suo paese venisse riconosciuto il diritto al voto femminile. Aveva 35 anni, si era laureata a Oxford e da sette anni militava nelle file della WSPU, la I. Conosceva bene anche la vita delle terribili carceri inglesi, essendo stata arrestata più volte per disturbo alla quiete pubblica, manifestazione non autorizzata, atti di vandalismo: la Davison aveva dato fuoco ad alcune cassette delle lettere nel centro di Londra, come forma di protesta violenta.

In carcere aveva subìto violenze fisiche e psicologiche, ma le torture non avevano piegato la sua forza di volontà, come dimostra il fatto che non ebbe paura di affrontare un cavallo lanciato in piena corsa. L’indignazione popolare per quel drammatico gesto riaccese il dibattito tra i favorevoli e i contrari al voto delle donne, anche se ci fu chi minimizzò, e addirittura ironizzò sulla tragedia: si disse che la Davison aveva mancato di rispetto verso il re, presente alla corsa, aveva messo in pericolo la vita del fantino e aveva offeso i colori della sua scuderia.

Emily Davison travolta dal cavallo al Derby del 1913.

Emmeline Pankhurst

I funerali di Emily Davison furono un avvenimento seguito in tutta l’Inghilterra. Vi fu un imponente corteo funebre cittadino, sebbene la polizia non lo avesse autorizzato. Tutte le compagne di Emily parteciparono commosse alla cerimonia, tutte tranne Emmeline Pankhurst, leader della WSPU: la Pankhurst era stata arrestata due giorni prima per attività sediziose.

Emmeline Pankhurst e la figlia Christabel erano esponenti di spicco del movimento femminista inglese: a loro si deve l’opera di sensibilizzazione delle società europee (con libri, articoli e varie pubblicazioni) sul tema dell’emancipazione femminile.

Emmeline era una donna di straordinaria cultura, sposata al celebre avvocato Richard Pankhurst, intellettuale propugnatore delle tesi di John Stuart Mill. Mill aveva provato a perorare la causa del voto femminile nel parlamento inglese, ma senza successo, e aveva in seguito pubblicato il primo vero saggio femminista: La soggezione delle donne.

Emmeline aveva fondato la WSPU nel 1903, con l’aiuto di alcune mogli di politici laburisti: il movimento era molto diverso dalle associazioni tradizionali per il voto alle donne: si distaccava dalla Society for women’s suffrage di Mill e dai gruppi femministi nati anni prima per iniziativa di Mary Wollstonecraft.

L’associazione della Pankhurst agiva con gesti plateali, anche violenti, non temeva gli scontri di piazza, gli arresti e i maltrattamenti nelle carceri londinesi. Le suffragette gridavano i loro slogan per le vie cittadine, sabotavano i comizi dei politici e disturbavano l’attività dei parlamentari. Le loro azioni si risolvevano immancabilmente con il loro arresto e qualche articolo indignato sulla stampa tradizionalista. Il loro urlo disperato «il voto alle donne!» non era solo un insulto per la costituzione inglese, ma era considerato immorale e scandaloso dalla società vittoriana.

L'arresto di Emmeline Pankhurst fuori da Buckingam Palace, maggio 1914.

Un muro di gomma

A tutte le manifestazioni delle suffragette era presente la polizia, che interveniva sempre con mano pesantissima. I poliziotti disperdevano gli ascoltatori dei comizi, trascinavano via le attiviste, spesso le picchiavano e le conducevano in carcere.

La strategia della Pankhurst prevedeva di non ribellarsi agli arresti, di farsi vedere dai giornalisti mentre si veniva ammanettate, infine di fare lo sciopero della fame. Per evitare troppe imbarazzanti morti in carcere, i direttori dei penitenziari ricorrevano all’alimentazione forzata, che si rivelava nulla più che una tortura. Fu lo stesso re Giorgio V a volere la fine di quelle pratiche barbare; all’alimentazione forzata si sostituì il ricovero delle scioperanti e l’allungamento dei termini di carcerazione.

Per le suffragette era comunque un calvario, ma la Pankhurst ottenne ciò che voleva: essere presa sul serio. Il movimento femminista divenne un interlocutore con cui i politici dovettero confrontarsi, anche solo per combatterlo.

I rapporti tra politica e suffragette rimasero comunque problematici: la protesta veniva portata periodicamente in parlamento, ma il muro di gomma contro il voto alle donne rimaneva in piedi.

 

Finalmente, la svolta

Nel settembre del 1914, mentre l’Inghilterra è in guerra, Emmeline coglie l’occasione per mostrare a tutto il Paese il patriottismo delle suffragette, che vennero incitate a mettersi a disposizione della patria: sulle colonne del giornale «The Suffragette» si legge: «Il dovere della militante è oggi quello di combattere il Kaiser per la salvezza della libertà più che quello di lottare per il suffragio».

È il colpo da maestro della Pankhurst: il mondo politico inglese fu impressionato dal contributo delle suffragette allo sforzo bellico. Nel gennaio 1918 arriva il ringraziamento tangibile: a tutte le donne inglesi sopra i trent’anni viene concesso il diritto di voto.

Emmeline Pankhurst morì nel 1928, l’anno in cui l’età per il voto femminile venne abbassata a 21 anni. Le suffragette avevano vinto la loro battaglia politica. Continuava invece quella delle femministe: la lotta per il riconoscimento dell’effettiva parità tra uomo e donna in tutti i settori della vita.

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