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Vita quotidiana
Dalla terra al cielo - Introduzione Il piacere di piangere Sulla pelle dei contadini Ruote in terra, ali in cielo

Il piacere di piangere


L'autore
Anne Vincent-Buffault

Anne Vincent-Buffault è ricercatrice associata presso il Laboratoire de Changement Social et Politique e ha fondato la rete Ornithorynque destinata alla formazione in vista del cambiamento sociale. È autrice fra l’altro di Histoire des larmes. 18è-19è siècle («Storia delle lacrime. Secoli XVIII e XIX», 2001) e Une histoire de l’amitié («Una storia dell’amicizia», 2010)

La storia delle lacrime sembra avere la lentezza dei fiumi. Ma tra Settecento e Ottocento la mentalità muta rapidamente e il giudizio sul pianto da positivo diventa negativo.

Per gli illuministi, il pianto ci fa sentire migliori

Mai si è tanto e così apertamente celebrato il piacere di piangere come nel Settecento. I lettori, i frequentatori di spettacoli teatrali volevano intenerirsi e le occasioni per sciogliersi in lacrime non mancavano.

Gli autori di opere teatrali consideravano le lacrime come un segno infallibile di successo dei loro lavori e di gradimento da parte del pubblico. Quest’ultimo, del resto, esprimeva chiaramente il proprio consenso: i torrenti di lacrime erano apertamente esibiti e lo spettacolo era anche in sala.

Sia gli uomini sia le donne non esitavano a sventolare fazzoletti umidi come stendardi della loro sensibilità. Piaceva anche sentire leggere racconti teneri o patetici nei salotti, e i letterati potevano così saggiare il potere lacrimogeno dei loro testi prima della pubblicazione.

Ci si commuove sulla sorte degli infelici e ci si intenerisce sul bene pubblico. Barbaro è chi non conosce la pietà: le lacrime che questa fa versare rivelano quanto si è davvero umani, e quindi aperti al dolore degli altri.

Durante la Rivoluzione francese le lacrime scendono per le strade, si diffondono nelle assemblee politiche. Esse segnavano così un nuovo legame sociale e l’entusiasmo collettivo provocato dagli avvenimenti.

 

Per i romantici, il pianto è nel destino femminile

Agli inizi dell’Ottocento, però, certi letterati si propongono di rompere con questa sensibilità, che ha fatto tanto piangere e che contraddistingue ancora i loro contemporanei.

Tutt’altro si presenta allora l’ideale di moderazione di sé predicato dall’autore del romanzo di successo Obermann (1804), Sénancour, il quale ritiene che l’uomo sensibile non è quello che si commuove e piange, ma quello che, concentrandosi in se stesso, sviluppa un’acutezza percettiva superiore e impara a «sentire». Altri scrittori riprendono la tradizione biblica e cristiana del dolore. A partire da queste immagini religiose, i romantici sviluppano una diversa concezione delle lacrime dolorose: esse sgorgano nella solitudine e accompagnano la creazione poetica.

Più in generale, si faceva strada un ideale di ritegno e di pudore, che distingueva attraverso l’atto del piangere i ruoli maschili e femminili. Nei romanzi e negli scritti intimi della prima metà del XIX secolo, gli uomini, anche e soprattutto se sono sensibili, evitano di piangere in pubblico.

Le loro lacrime sono tanto più valorizzate quanto più sono rare: «Gli uomini che passano per duri sono in realtà molto più sensibili di quelli di cui si vanta la sensibilità espansiva. Si induriscono perché la loro sensibilità, essendo reale, li fa soffrire. Se gli altri non hanno bisogno di farsi duri, è perché quanto c’è in loro di sensibilità è così facile da portare» annotava lo scrittore Benjamin Constant nel suo diario.

Invece, una donna si scioglie in lacrime da un momento all’altro anche se è coraggiosa: senza lacrime non c’è femminilità, ma queste le si preferisce discrete piuttosto che rumorose, sincere piuttosto che recitate. Le lacrime non hanno certo perso il loro prestigio, ma si sono a un tempo individualizzate e femminilizzate.

Dante Gabriele Rossetti, Persefone, 1874. Londra, Tate Gallery.

Per i positivisti, il pianto è un crollo emotivo

Nella seconda metà dell’Ottocento, con il diffondersi del Positivismo, si assistette a una vera e propria reazione nei confronti delle effusioni di sensibilità. La nuova generazione si ribellava a gran voce contro i romantici, la cui estetica era giudicata debole e il cui comportamento poco virile. La nuova letteratura si proclamava «maschile» e trattava le lacrime come un umore del corpo umano che disgusta piuttosto che incantare. Il romanzo sentimentale diventava allora un genere secondario, riservato alla gente dei campi e alle donne. L’immagine della donna non usciva indenne: quelle che usavano e abusavano di lacrime non erano, in realtà, che vittime del loro sistema nervoso, o colpevoli di una falsità che spingevano fino al ricatto. Né un miglior trattamento era riservato al popolo, che correva al melodramma per piangervi, accompagnato dallo scherno del pubblico colto che, esso sì, aveva appreso ad asciugarsi discretamente una lacrima nell’oscurità della sala.

Le risate e le lacrime di cui risuonavano gli interni del proletariato si distinguevano da un modello d’intimità controllata e di educazione della volontà, imposto dalle nuove forme della buona creanza borghese. Di conseguenza, le lacrime perdono gli onori della pubblica piazza, per rifugiarsi nel segreto delle stanze, per essere da ultimo riservate alle donne, ai bambini, e lasciate alla gente del popolo. La percezione di un segno corporeo si è modificata: dapprima umore nobile che denota sensibilità, le lacrime slittano verso il campo delle secrezioni sconvenienti, come lo sputo. Perché è un modo di manifestare sentimenti convenzionali, di esporsi troppo o di mettere a disagio l’interlocutore.

Le lacrime possono essere ammesse solo in rare occasioni, quando il linguaggio e l’azione non sono più possibili, di fronte, cioè alla disperazione o alla morte.

Del resto, secondo diversi scienziati seguaci dell’evoluzionismo di Darwin, la specie umana aveva raggiunto la vetta del processo evolutivo nel maschio adulto occidentale, che sa mantenere i suoi occhi asciutti.

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