Sulla pelle dei contadini
La pellagra fu una malattia che imperversò tra i contadini italiani per più di cent’anni. La causa? l’alimentazione costituita quasi esclusivamente da due o tre chili di polenta al giorno.
Una malattia terribile
Una delle condizioni più comuni presso le classi subalterne nei secoli passati era la malnutrizione, che non significava soltanto carenza di alimenti essenziali, ma poteva anche coincidere con l’eccessivo consumo di un solo tipo di alimento, che diventava dannoso per l’organismo.
A un fenomeno di questo tipo è legata una delle malattie un tempo più diffuse in Italia, la pellagra. Questo termine compare in un libro del 1771 pubblicato a Milano dal medico Francesco Frapolli, e sembra tratto dal dialetto lombardo: esso indica la pelle ruvida caratteristica di questa malattia che l’autore scopriva nei contadini lombardi.
Si trattava comunque di una malattia già osservata in Spagna, dove era stata collegata a un’alimentazione prevalentemente basata sul mais. I sintomi della malattia erano dapprima un arrossamento della pelle, seguito da un grave malessere generale, che culminava in disturbi all’apparato digerente, cui si accompagnavano devastanti problemi psichici, come le allucinazioni. Alla fine del Settecento sembrava proprio l’Italia – in particolare Lombardia e Veneto – il Paese più colpito.
Cominciarono così gli interventi pubblici. Il governo della Repubblica di Venezia nel 1776 indicava nei «sorghi turchi immaturi e guasti» ripescati da terreni alluvionati la causa di malattie tra i contadini più poveri del suo territorio.
Il primo ospedale per pellagrosi fu fondato dall’imperatore Giuseppe II a Legnano nel 1784 (ma venne chiuso già nel 1796); anche negli ospedali di Milano vennero riservati dei letti ai malati di pellagra.
Tra il 1804 e il 1805 il governo austriaco promosse un’inchiesta sulla pellagra nelle zone di Padova e Treviso: l’inchiesta concludeva che la pellagra non era una malattia contagiosa o ereditaria, ma dipendeva «dall’abuso dell’alimento vegetabile, in particolare del granturco ». Noi sappiamo che era normale, per un contadino della zona, una dieta basata quasi esclusivamente su due-tre chili di polenta ogni giorno.
Il governo italiano affronta la pellagra
Con l’unità d’Italia e la prima grande inchiesta promossa dalla Direzione di Agricoltura nel 1878, i casi accertati di pellagra raggiunsero il numero di 97 855, distribuiti in 40 province del regno: la regione maggiormente colpita era il Veneto, dove la malattia coinvolgeva più del 30% della popolazione agricola. Questi dati indussero a emanare le prime disposizioni generali dirette a combattere la pellagra (1881).
Il governo italiano si impegnò a contribuire alla costruzione di essiccatoi per la stagionatura artificiale del mais e fece istituire cucine economiche destinate a migliorare l’alimentazione dei contadini somministrando minestra, pane, carne e vino.
La prima legge specifica contro la pellagra risale al 1902, quando venne anche resa obbligatoria la denuncia dei casi accertati.
A partire dal 1910 non si registrarono più di duemila casi all’anno, sempre col Veneto al primo posto per frequenza; in questa regione continuarono a verificarsi casi di pellagra anche quando, nei decenni successivi, la malattia scomparve dal resto d’Italia.
La sua scomparsa fu determinata dalla migliore conoscenza delle sue cause, ma soprattutto dalle migliorate condizioni di vita nelle campagne e dalla diminuzione della popolazione agricola stessa, dovuta all’industrializzazione.
Le ipotesi sull’origine
La correlazione, ben presto individuata, tra pellagra e alimentazione a base di mais condusse nell’Ottocento a riconoscere come causa della malattia l’alimentazione fondata sul granturco e priva di sostanze di origine animale: il granturco, infatti, è povero di princìpi nutritivi. Un medico affermava al riguardo: «La pellagra deriva dal mangiar poco e male e lavorar molto».
Nel XX secolo la ricerca sulle cause della malattia fece molti progressi, grazie anche al confronto tra osservazioni diverse effettuate in varie zone del mondo.
L’osservazione della pellagra in presenza di altri regimi alimentari poveri e a basso contenuto di proteine, ma che non prevedevano l’assunzione di mais, rivelò che alla base della malattia c’era un’insufficienza alimentare.
Ricercatori americani giunsero anche a riconoscere nel lievito un fattore capace di prevenire e curare la malattia: nel 1938 questo fattore, chiamato PP (Pellagra Preventing), fu riconosciuto nell’acido nicotinico.
Le scoperte successive misero in luce che nel mais risultava carente anche un amminoacido.
Oggi, se non esistono più dubbi sul fatto che il mais sia un alimento deficitario dal punto di vista nutritivo, sappiamo anche che esso non è pericoloso quando è consumato nell’ambito di un’alimentazione completa ed equilibrata.