Sommario
Tecnica e Storia
L'ora dei fanti - Introduzione Le tattiche belliche sul finire del Medioevo Le armi da fuoco tra Medioevo e prima Età moderna

Le tattiche belliche sul finire del Medioevo


L'autore
Piero Pieri

Piero Pieri (1893-1979) storico italiano; fu professore universitario dal 1935 al 1963 a Torino. Alle sue ricerche di storia politica ed economica hanno fatto seguito quelle di storia militare: Il Rinascimento e la crisi militare italiana (1952); Storia militare del Risorgimento (1962); L’Italia nella prima guerra mondiale (1965); Badoglio (1974, in collab. con G. Rochat).

Tattica e strategia praticamente non esistevano nelle guerre medievali: richiedevano, infatti, una disciplina e un’organizzazione incompatibile con l’individualismo feudale.

Nel Basso Medioevo l’esercito può comprendere due o tre grossi squadroni. Ma essi non costituiscono rincalzi atti ad alimentare il combattimento; e tanto meno poi riserve incaricate di svolgere dei particolari compiti, già prima deliberatamente preparati e studiati, nelle diverse fasi della lotta. Gli squadroni si urtano successivamente, il primo contro il primo, il secondo contro il secondo, il terzo contro il terzo: è ancora la concezione del duello, del giudizio di Dio; tanto è vero che spesso gli eserciti s’accordano circa il posto e il giorno del combattimento. Il quale per solito è di breve durata: una, due, tre ore in tutto. Come non vi è vera strategia, così non vi è vera tattica (né del resto l’una potrebbe esistere senza l’altra). Questa si fonda su due principii: quello d’una azione d’urto, breve, violenta e decisiva (azione tattica risolutiva) e quello d’una azione lenta e studiata, estesa via via dalle parti al tutto (azione tattica distruttiva).

La prima è propria soprattutto del combattimento all’arma bianca; la seconda di quello con armi da getto. La tattica medievale avrebbe dunque dovuto esplicarsi specialmente nell’azione tattica risolutiva: ma questa richiedeva forze ordinate e disciplinate, veramente in pugno al comandante, quali l’individualismo feudale non consentiva; e d’altra parte l’azione tattica distruttiva trovava ostacolo sia nell’insufficiente numero e difettoso impiego delle armi da getto, sia nella scarsa attitudine alla difensiva e a condurre per le lunghe il combattimento da parte del cavaliere feudale. Conseguenza: l’aggirarsi della tattica medievale entro il circolo chiuso della quasi impossibilità sia dell’azione risolutiva che di quella distruttrice. […]

Torniamo ora al problema centrale: la creazione d’una valida fanteria capace d’aver ragione della cavalleria pesante medievale e di penetrare per breccia nella città assediata. […] Con la guerra dei Cent’anni, infatti, gli arcieri inglesi si misuravano colla migliore forse delle cavallerie feudali d’Europa, e in tre famose battaglie riuscivano pienamente vittoriosi.

A Crécy (1346), a Poitiers (1356), e più ancora ad Azincourt (1415), il trionfo della nuova fanteria parve evidente; tanto più che essa combatteva sostenuta da cavalleria appiedata: la cavalleria feudale inglese dunque aveva senz’altro riconosciuto la propria intrinseca inferiorità e solo poteva contribuire alla vittoria in quanto i cavalieri si erano rassegnati a diventare elemento accessorio dei tiratori, rinunziando a ciò che veramente costituiva la loro efficienza, ossia la celerità e la massa dei loro cavalli. […]

Ad Azincourt gl’Inglesi, 1000 cavalieri e 8000 arcieri, che retrocedono dopo una campagna poco felice in Normandia, si trovano sbarrato il passo dai Francesi, 2000 cavalieri per metà almeno appiedati e 4000 fanti. I cavalieri appiedati e i fanti sono al centro, la cavalleria vera e propria alle ali. Gl’Inglesi avanzano fin presso al nemico, quindi a propria protezione piantano a terra dei pali aguzzi, dopo di che sottopongono la falange francese a un violentissimo tiro. La cavalleria francese allora avanza, ma è fermata dall’ostacolo dei pali e da nembi di frecce e retrocede in disordine sul grosso portandovi lo scompiglio: allora gli arcieri, coi cavalieri appiedati ad essi frammischiati, contrattaccano all’arma bianca, penetrano fra le schiere nemiche già scosse e le sbaragliano.

Ordunque, a Crécy una battaglia puramente difensiva, una delle poche grandi vittorie della storia ottenuta mediante la semplice difensiva passiva; a Poitiers una difensiva controffensiva, ma in cui la seconda operazione è compiuta dalla cavalleria; ad Azincourt un’offensiva condotta con un’azione di tiro, seguita da una difensiva-controffensiva svolta soprattutto dalla fanteria. […] Ma, in realtà, gl’Inglesi sono stati ogni volta molto superiori di numero, e hanno avuto per due volte il vantaggio del terreno, elemento fondamentale nella difensiva; e anche Azincourt resta un caso isolato, da cui non deriva una nuova tattica. In conclusione anche ora la capacità tattica della fanteria inglese non è giunta, in un secolo e mezzo di sviluppo, all’azione nettamente offensiva. Come già le fanterie comunali, essa non è andata oltre la controffensiva, e la sua capacità è rimasta soprattutto difensiva.

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