Sommario
Vita quotidiana
Libri di cucina e grandi abbuffate I Greci: uniti anche nel vestire A tavola con i Greci A tavola con gli Etruschi A tavola con i Romani I funerali nell’antica Roma

A tavola con i Romani


Ostriche, ghiri, lingue di fenicotteri, salse prelibate, spezie talmente preziose da essere custodite nell’erario dello Stato come fossero oro.

Cambiano i gusti e le tasche si svuotano
Nell’antica Roma i gusti alimentari e le pietanze non furono sempre gli stessi: l’alimentazione cambiò nel corso dei secoli, influenzata anche dalle diverse situazioni politiche ed economiche. L’arco di tempo che va dalla fondazione di Roma al III secolo a.C. è un periodo in cui la vita era ancora molto austera. Roma era una città legata alla terra e alla pastorizia, e dei frutti di tali attività si viveva.
L’alimentazione era di conseguenza semplice e frugale: verdure ed erbe selvatiche, legumi, farinacei, olio, vino, uova e poi latte e latticini; come carne, suini e ovini, raramente qualche galletto (le galline no, perché producevano uova), completamente esclusa la carne bovina, poiché il bue era una risorsa preziosa per coltivare i campi.

Scena di banchetto, particolare di pittura pompeiana, l secolo d.C. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.

Ma verso la fine della repubblica i gusti cominciarono a cambiare e molti iniziarono a spendere cifre consistenti per un buon pasto. Le navi mercantili arrivavano a Roma dal Vicino Oriente e dall’Egitto, cariche di spezie, e insieme alle materie prime iniziarono ad arrivare anche raffinati cuochi, esperti nella preparazione di complicate vivande.
Apparvero anche i primi libri di cucina, il più famoso dei quali, integralmente conservato sino a noi, è il De re coquinaria, attribuito a un ricchissimo e altrettanto goloso patrizio, Marco Gavio Apicio.
Alcuni ingredienti avevano prezzi astronomici: come il garum di buona qualità, una salsa per condire le pietanze a base di pesce, che poteva costare quanto il più caro dei profumi; o il silfio, pianta selvatica proveniente da Cirene, il cui succo dal sapore leggermente agliato, si vendeva a peso d’oro. Si pensi che nell’età di Cesare nell’erario pubblico (il luogo dove era custodito il denaro pubblico), oltre all’oro e all’argento, si conservavano anche 490 chili di silfio!

Quadri di nature morte, 45-79 d.C., dalla Casa dei Cervi di Ercolano.
LA GRANDE ABBUFFATA

LA GRANDE ABBUFFATA

Dopo che gli ospiti si erano sfilati i sandali e avevano preso posto sui letti tricliniari, i servi portavano l’acqua per le abluzioni alle mani e iniziava il banchetto, composto di tre momenti principali: gustatio, cena, secundae mensae. La gustatio, cioè l’antipasto, consisteva in pietanze leggere, atte a stuzzicare l’appetito: tra queste non mancavano mai uova sode, olive, insalata di malva, salse piccanti, crostacei, frutti di mare. Durante l’antipasto si bevevano vini profumati con rose o con viole e poi addolciti con miele, o il mulsum, una bevanda di vino e miele dalla complessa preparazione.

La cena era il banchetto propriamente detto. Era composta di almeno tre portate, ma spesso da molte di più. Erano considerate vere raffinatezze, accanto alla selvaggina, i ghiri, il foie gras e la lingua di fenicottero. Tra i pesci erano ricercati la spigola, il rombo, le triglie, le murene e le ostriche. Non bisogna poi dimenticare i funghi, altro alimento molto ricercato e apprezzato. I contorni erano a base di legumi, insalate, bietole e carote. Si faceva anche un largo consumo di aglio e cipolla. Le portate erano accompagnate da vino in abbondanza, che però veniva mescolato con acqua (tre parti di acqua e una di vino). Era infatti considerata un’abitudine riservata ai barbari e ai dissoluti bere il vino puro. In inverno il vino veniva bevuto mescolato con l’acqua calda e aromatizzato con spezie quali pepe, nardo, zafferano; in estate, invece, lo si ghiacciava con la neve fatta venire da alte montagne. Durante il dessert (secundae mensae) veniva servita frutta fresca e secca. I dolci comparivano raramente a tavola, e probabilmente erano consumati fuori pasto. Nei grandi banchetti, dopo il dessert, veniva offerto agli invitati un prolungamento della cena, chiamato comissatio, consistente soprattutto in una bevuta. Durante tutta la cena, danzatori, musici e attori rallegravano i convitati.

 

 

Quadri di nature morte, 45-79 d.C., dalla Casa dei Cervi di Ercolano.

Quadri di nature morte, 45-79 d.C., dalla Casa dei Cervi di Ercolano.

Una colazione frugale, un pranzo freddo, poi la cena in grande stile
I pasti principali erano tre. La prima colazione, che si faceva verso le otto del mattino, consisteva per lo più in un bicchiere di latte o in un biscotto inzuppato in un po’ di vino, formaggio, uova; frutti accompagnati da fette di focaccia all’olio o al miele. I bambini, andando a scuola, compravano qualche dolce o biscotto presso una delle numerose botteghe in città.
I Romani conoscevano molte varietà di frutta, ma quelle più diffuse erano le mele e i fichi. Si consumava anche molta uva e si gradivano i frutti di bosco.
A metà della giornata, prima di mezzogiorno, si consumava un pranzo leggero che di solito consisteva negli avanzi del giorno prima. Si mangiavano uova, pesce, un po’ di verdura. Si beveva acqua o vino allungato con acqua.
Il pasto forte della giornata era la cena: i poveri si accontentavano di un puré di fave o di una zuppa di verdure. I ricchi invece abbondavano nella scelta dei cibi. Nel caso poi di una festa, offrivano agli invitati banchetti particolarmente abbondanti, a cui nell’età imperiale potevano partecipare anche le donne.
I Romani, così come i Greci, usavano mangiare in apposite sale da pranzo distesi su letti, i triclinii. Accanto ai letti tricliniari, che in una sala di normali dimensioni erano tre, ognuno a tre posti, si collocava una tavola rotonda, dotata di tovaglia solo dal I secolo d.C., su cui si ponevano le vivande e un recipiente con il vino. I posti erano assegnati secondo il rango e l’importanza degli invitati. Era consuetudine che il commensale si portasse da casa un grande tovagliolo, la mappa, per raccogliere gli avanzi del banchetto e consumarli il giorno dopo.

Frammento di pavimento a mosaico con avanzi di pasto, II secolo d.C., Roma, Musei Vaticani.
IL PAVIMENTO NON SPAZZATO

IL PAVIMENTO NON SPAZZATO

Sicuramente lo svolgimento di un banchetto dell’antichità e il comportamento dei commensali non risponderebbero alle regole del nostro galateo. Era consuetudine, ad esempio, gettare in terra i rifiuti e gli scarti delle varie portate, che gli schiavi provvedevano a spazzare via. Tant’è che Sosos, famoso mosaicista greco del II secolo a.C., ideò un mosaico destinato alle decorazioni delle sale da pranzo, che ebbe poi molto successo nel mondo romano: noto con il nome di pavimento non spazzato, riproduceva gli avanzi di un banchetto.

Frammento di pavimento a mosaico con avanzi di pasto, II secolo d.C., Roma, Musei Vaticani.

Frammento di pavimento a mosaico con avanzi di pasto, II secolo d.C., Roma, Musei Vaticani.

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