Due testi esemplari
Una poesia pacifista in dialetto del romano Carlo Alberto Salustri (Trilussa), dell’ottobre 1914, è Ninna nanna della guerra , musicata da un anonimo e parzialmente cantata durante il conflitto e oltre ancora. La guerra, rivela sconsolato il poeta, «è un gran giro de quatrini / che prepara le risorse / pe li ladri de le borse». (Trilussa, invitato dalle autorità a proporre dei versi in occasione del lancio del quarto prestito nazionale di guerra, così scriveva, il 6 febbraio 1917: «Chi se pensava, a dillo qui tra noi, / che un paese fasullo come questo / avrebbe messo ar monno così presto / un Re guerriero e un popolo d’eroi»; e ancora, nella stessa occasione, dando voce a una ragazza del popolo che ha il fidanzato al fronte: «Da quanno er mi’ regazzo fa er soldato / me scrive spesso: tutti li risparmi / dàlli a Cadorna che ci arrota l’armi, / pòrtali al banco e prestali allo Stato…».)
Una canzone patriottica, La leggenda del Piave, scritta da Giovanni Gaeta (noto come E.A. Mario) nel 1918: le prime tre strofe nel giugno, l’ultima fra il 4 e l’11 novembre. La sua popolarità è indiscutibile. Amatissima durante il fascismo, venne rimaneggiata dal regime nel 1929: il «tradimento» della seconda strofa divenne un «fosco evento», il verso «per l’onta consumata a Caporetto» venne edulcorato in «poiché il nemico irruppe a Caporetto». Una «profanazione» ben più significativa era stata attuata fin dal dicembre 1918 dal poeta comunista Mario Offidani (Spartacus Picenus), che adattò alla musica di Gaeta i versi della sua «Leggenda della Neva», scritta per celebrare la rivoluzione russa: «La Neva contemplava della folla umile e oscura / il pianto silenzioso e la tortura. / La plebe sanguinava come Cristo sulla Croce, / svenata dalla monarchia feroce / che, non paga di forche e di Siberia, / volle ancor della guerra la miseria. / Ma sorse alfin un Uomo di coraggio / che infranse le catene del servaggio / e sterminò le piovre fino a fondo. / Quell’Uomo fu Lenìn, / liberator del mondo ». Le parodie di questo canto continuarono a lungo, segno indubbio di vitalità e popolarità. Basti accennare a una «Leggenda del Fascio», scritta da un anonimo nei primi anni del regime: «L’Italia mormorava triste ed umile al passaggio / dei cenci rossi d’ogni primo maggio; / marciava il bolscevismo per spezzare ogni barriera, / per togliere alla Patria ogni frontiera; / volean gettar la fame e il disonore, / abbandonar l’Italia all’oppressore. […] / Era un linguaggio falso, turpe e nero; / l’Italia mormorò: Peggio dello straniero!».