Sommario
Storia di copertina
Feriti nell'anima, gli scemi di guerra - Introduzione Nevrosi e guerra industrializzata Le manifestazioni della follia Le terapie punitive La mia esperienza della follia e della cura

La mia esperienza della follia e della cura


L'autore
Louis Destouches

Louis Destouches (1894-1961), medico, scelse lo pseudonimo di Louis-Ferdinand Céline per pubblicare Viaggio al termine della notte, libro che rimane il suo capolavoro. Autore discusso per le sue prese di posizione politiche (dopo la seconda guerra mondiale venne processato per collaborazionismo con i nazisti) è considerato tra i massimi scrittori francesi del Novecento

Lo scrittore francese Louis-Ferdinand Céline nel suo romanzo Viaggio al termine della notte, uscito nel 1932 descrive la crisi nevrotica che lo colpì durante una convalescenza dal fronte, mentre si trovava in un ristorante, e racconta alcune scene della sua vita nella clinica psichiatrica in cui fu successivamente ricoverato.

Alla fine ci decidemmo per Duval. Ma appena ci siamo messi a tavola il posto mi sembrò insensato. Tutta ‘sta gente seduta in fila intorno a noi mi dava l’impressione di aspettare anche lei che le pallottole le saltassero addosso da ogni lato mentre s’abboffava.

«Andatevene via tutti!» ecco che li avvisai io. «Squagliatevi! Sparano! Vi ammazzano! Ci ammazzano tutti»

Mi hanno riportato all’hôtel di Lola, in tutta fretta. Vedevo dappertutto la stessa cosa. Tutti quelli che sfilavano per i corridoi del Paritz sembrava che andassero a farsi sparare addosso e gli impiegati dietro la grande Cassa, anche loro, proprio fatto per quello, e il tipo che stava da basso, anche, del Paritz, con la sua uniforme blu come il cielo e dorata come il sole, il portiere che chiamavi, e poi i militari, gli ufficiali a passeggio, i generali, meno belli di quello sicuro, ma comunque in uniforme, dappertutto un fuoco immenso, da cui non sarebbero usciti, né gli uni né gli altri. Non era più uno scherzo.

«Sparano!» gli gridavo io, più forte che potevo, in mezzo al salone grande. «Sparano! Squagliatevi tutti!...» E poi dalla finestra l’ho gridato anche. Ero invasato. Un vero scandalo. «Povero soldato!» dicevano. Il portiere m’ha portato pian piano al bar, per gentilezza. M’ha fatto bere e io ho bevuto, poi alla fine i gendarmi STORIA DI COPERTINA son venuti a prendermi, più brutalmente, loro. Nello «Stand delle Nazioni» ce n’erano anche, di gendarmi. Li avevo visti. Lola mi abbracciò e li aiutò a portarmi via in manette.

Allora mi sono ammalato, febbricitante, diventato matto, hanno spiegato loro all’ospedale, per la paura. Era possibile. La miglior cosa che puoi fare, no? Quando sei a ‘sto mondo, è di uscirne. Matto o no, paura o no.

Ne sono nate delle storie. C’era chi diceva: «Sto ragazzo, è un anarchico, allora bisogna fucilarlo, è il momento e sùbito, senza esitare, bisogna mica gingillarsi, perché c’è la guerra!...» Ma ce n’erano degli altri, più pazienti, che asserivano che ero soltanto sifilitico e folle autentico e di conseguenza andavo rinchiuso fino alla pace, o almeno per qualche mese, perché loro, i non matti, che avevano tutte le ragioni, dicevano, volevano curarmi mentre avrebbero fatto la guerra loro soli. Questo prova che per essere ritenuti ragionevoli, nulla di meglio che avere una gran faccia di bronzo. Quando hai una bella faccia tosta, quello basta, allora quasi tutto è permesso, assolutamente tutto, hai la maggioranza con te ed è la maggioranza che decide quel che è folle e quel che non lo è.

Tuttavia la mia diagnosi restava molto discutibile. Le autorità decisero dunque di mettermi sotto osservazione per qualche tempo. La mia amica Lola ebbe il permesso di venirmi a fare qualche visita, e mia madre anche. Era tutto.

Eravamo alloggiati noi, i feriti con turbe, in un liceo di Issy-les-Moulineaux, organizzato apposta per accogliere e spingere con le buone o con le cattive a confessare, secondo i casi, i soldati del mio tipo il cui ideale patriottico era semplicemente compromesso o del tutto malato. Non ci trattavano per niente male, ma ci sentivano tutto il tempo, comunque, spiati da un personale infermieristico silenzioso e dotato di enormi orecchie.

Dopo qualche tempo di sottomissione a questa sorveglianza, te ne uscivi con discrezione per andare o al manicomio, o al fronte, o ancora molto spesso al muro. Tra i compagni ammassati in quegli ambigui locali, mi chiedevo sempre, parlando piano in refettorio, chi stava diventando un fantasma. […]

I nostri medici li vedevamo ogni mattina. Ci interrogavano benevolmente, ma non si sapeva mai cosa pensavano esattamente. Portavano a spasso intorno a noi, con un’aria sempre affabile, la nostra condanna a morte.

Molti tra i malati che erano là in osservazione, arrivavano, più emotivi degli altri, in quell’ambiente dolciastro, a un tale stato di esasperazione che la notte si alzavano invece di dormire, misuravano il dormitorio in lungo e in largo, protestavano ad alta voce contro la loro angoscia, stretti tra disperazione e speranza, come su un tratto ingannevole in montagna. Penavano giorni e giorno a ‘sto modo e poi una sera si lasciavano sprofondare d’un colpo nell’abisso, e andavano a raccontare tutti i loro affari al medico-capo. Li si rivedeva mai più, quei lì, mai. Io nemmeno, ero tanto tranquillo. Ma quando sei debole quello cheti dà forza è lo spogliare gli uomini che temi di più di tutto il prestigio che sei ancora portato ad attribuirgli. Bisogna imparare a considerarli per quel che sono, peggio di quel che sono voglio dire, da tutti i punti di vista. Questo ti sgombera, ti libera e ti protegge ben oltre quello che si può immaginare, ti dà un altro te stesso. Sei in due.

Eravamo lontani da là, storditi da ideali assurdi, tenuti a bada da luoghi comuni stolti e bellicosi, topi già affumicati, cercavamo come dei folli di scappare dalla nave in fiamme, ma non avevamo nessun piano d’insieme, nessuna fiducia reciproca. Allocchiti dalla guerra, eravamo diventati pazzi in un altro genere: la paura. Il diritto e il rovescio della guerra.

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