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Protagonisti
«Leggende» napoleoniche - Napoleone fu avvelenato? Un temperamento eccezionale Il funerale di Napoleone La costruzione del mito di Napoleone

«Leggende» napoleoniche - Napoleone fu avvelenato?


L'autore
Thierry Lentz

Thierry Lentz (1959) insegna Storia del diritto pubblico presso l’Università di Nancy ed è esperto di storia napoleonica. Dal 2000 dirige la Fondazione Napoleone di Parigi. Tra le sue opere ricordiamo in particolare i quattro volumi della Nouvelle Histoire du Premier Empire (2002-2010).

Il grande còrso morì a soli cinquantadue anni. Quale fu la causa della sua morte? Si ammalò di cancro allo stomaco, debilitato dalla prigionia o fu assassinato, come sostengono alcuni studiosi?

Paul Delaroche, Ritratto di Napoleone a Fontainebleau, 1845 ca. Leipzig, Museo delle Belle Arti.

Di quale malattia è morto Napoleone?

Da circa quarant’anni alcuni studiosi sostengono che Napoleone è morto avvelenato dall’arsenico. Periodicamente la stampa rilancia la questione scatenando il dibattito fra gli storici. Il caso è piuttosto complicato. Proviamo a ricostruirlo.

L’ipotesi dell’avvelenamento è proposta da un dentista svedese, Sten Forshufvud, nel 1961. Leggendo le memorie scritte da Marchand, primo cameriere dell’imperatore, Forshufvud si convinse che Napoleone non era morto di cancro allo stomaco o a causa di un’epatite, com’era stato detto. La descrizione della malattia del prigioniero lo indusse piuttosto a pensare a un’intossicazione cronica da arsenico. Dall’intossicazione all’avvelenamento, e da questo all’assassinio, il passo è breve.

Forshufvud si era convinto, già nel 1955, che Napoleone fosse stato avvelenato ma all’epoca non aveva nessuna possibilità di dimostrarlo. Poi nel 1959 lesse un articolo su una rivista scientifica in cui si descrivevano gli studi di un tossicologo scozzese, Hamilton Smith, che aveva scoperto un metodo per valutare la presenza di arsenico nel corpo umano attraverso l’esame di un solo capello.

Per dimostrare la sua tesi, dunque, Forshufvud aveva bisogno solo di un capello di Napoleone.

 

Capelli di Napoleone cercansi

Fortunatamente, durante il suo esilio, Napoleone aveva donato ripetutamente ciocche dei suoi capelli. E anche alla sua morte, i capelli erano stati tagliati e conservati. Forshufvud riuscì dunque a recuperare un capello di Napoleone e lo inviò a Smith perché facesse la sua analisi. Il risultato fu che nel corpo di Napoleone c’era una quantità di arsenico 13 volte superiore a quella normale.

Forshufvud, tuttavia, non si accontentò di un’analisi condotta su di un solo capello. Sperava addirittura che il governo francese fosse disponibile ad aprire la tomba agli Invalides, dove Napoleone è sepolto dal 1840: un nuovo esame sui resti dell’imperatore avrebbe potuto chiarire definitivamente le cause della morte.

Ma a quel punto il nostro dentista si scontrò con la resistenza delle autorità francesi che non davano credito alla sua ipotesi, mentre in un primo momento l’avevano appoggiato.

 

Nuovi elementi di prova

Fu Ben Weider, uomo d’affari canadese, appassionato di storia napoleonica, a rilanciare l’ipotesi di Forshufvud.

Egli finanziò una serie di analisi tossicologiche su dei capelli, presumibilmente ricavati dal cadavere di Napoleone.

La presenza dell’arsenico venne effettivamente rilevata. Il colpevole dell’assassinio fu identificato nel generale Montholon, che avrebbe accompagnato Napoleone a Sant’Elena, per ordine del conte d’Artois, col compito di sopprimerlo per impedirgli di evadere.

Nel giugno 2001 Ben Weider organizzò una conferenza stampa in cui invitò medici legali e storici. Quali furono gli elementi «nuovi» che vennero rivelati?

Pascal Kintz, dell’Università di Strasburgo, confermò la presenza dell’arsenico in cinque campioni di capelli attribuiti a Napoleone. Le percentuali di arsenico rilevate lo portarono a concludere che l’individuo al quale i capelli analizzati appartenevano aveva subìto una «esposizione continuata e massiccia» al veleno. Non parlò di avvelenamento (che implica un atto volontario), ma di intossicazione.

Antoine Ludes, dell’Università di Strasburgo, comunicò che le sue ricerche non gli permettevano di dire se i capelli messi a sua disposizione fossero con certezza quelli di Napoleone.

Paul Fornès, dell’Istituto medico legale di Parigi, invitato a rivedere le osservazioni dell’autopsia praticata nel 1821 sul corpo di Napoleone, concluse che l’imperatore non era morto di cancro. Nessuna patologia rilevata dal rapporto era mortale. L’autopsia evidenzia, tuttavia, lo stato generale di grande debolezza del paziente. Riscontra un’ulcera perforata dello stomaco, una tubercolosi (non si sa se ancora in atto almomento della morte) e altre patologie minori.

Fornès non affermò quindi che l’arsenico avesse portato Napoleone al decesso: avanzò solo l’ipotesi che la bevanda a base di mandorle amare di cui il malato faceva uso (e che contiene naturalmente del cianuro e non dell’arsenico) avesse potuto provocare uno «choc mortale».

La conferenza stampa del 2001 non ha dunque risolto il caso. Anzi, ha evidenziato la spaccatura tra coloro che si sono occupati del problema: da un lato, gli storici francesi che compattamente respingono la tesi dell’avvelenamento, dall’altro Forshufvud e Weider che la sostengono e che vorrebbero verificarla scientificamente attraverso un riesame dei resti di Napoleone.

Jean-Baptiste Mauzaisse, Napoleone Bonaparte sul suo letto di morte, 1843. Rueil-Malmaison, Museo del castello.

Le obiezioni degli storici francesi

La presenza di arsenico nei capelli (ammettendo che quelli analizzati fossero di Napoleone) prova un’intossicazione e non un atto criminale.

Per poter dar credito alle analisi del dottor Kintz sarebbe necessario conoscere la percentuale di arsenico normalmente contenuta nei capelli nel XIX secolo.

Il veleno all’epoca era molto utilizzato, soprattutto sull’isola di Sant’Elena. Per esempio, lo si adoperava per combattere i parassiti ed era emesso durante la combustione del carbone usato per il riscaldamento.

I sintomi identificati da Sten Forshufvud (mal di testa, vomito, febbre) sono sintomi comuni ad altre malattie; sono, invece, assenti sintomi caratteristici dell’intossicazione da arsenico (melanodermia, cheratizzazione delle estremità).

Benché nobile dell’Antico regime, il generale Montholon aveva compiuto un’onorevole carriera militare e diplomatica sotto l’Impero. Nominato generale nel 1814 da Luigi XVIII, aveva visto confermare il suo grado da Napoleone, durante i 100 giorni. Temendo le rappresaglie dei seguaci del re dopo il suo voltafaccia, aveva preferito seguire l’imperatore a Sant’Elena; fu uno dei favoriti del testamento di Napoleone, a dimostrazione della sua devozione.

Nella carriera del generale, tutto fa pensare alla sua fedeltà alla causa bonapartista. La tesi dell’avvelenamento e dell’assassinio di Napoleone ad opera sua resta senza dimostrazione.

Concludendo, in mancanza di validi indizi, di un movente e di un credibile assassino, perché scoperchiare la tomba di Napoleone?

 

Le ragioni di Forshufvud e Weider

Forshufvud e Weider ritengono che le resistenze degli storici francesi derivino dal fatto che hanno visto invadere il loro campo da persone estranee al settore: da un dentista svedese e da un uomo d’affari canadese!

Ma c’è anche un atteggiamento che potremmo definire nazionalistico: l’avvelenamento è avvenuto in modo graduale, attraverso una somministrazione continuata per lungo tempo di dosi crescenti di arsenico; dunque, l’assassino doveva essere per forza uno dei Francesi che circondavano Napoleone. È questo, secondo Forshufvud e Weider, il vero motivo per cui i Francesi non hanno voluto appoggiare i loro studi. Perché infatti non scoperchiare la tomba di Napoleone e fare delle analisi che non lascino dubbi? La polemica continua.

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