L'uomo nuovo
Essere uomini nuovi, virili, energici e degni eredi della tradizione romana: era quello che mussolini voleva dagli italiani, i quali innanzi tutto dovevano credere, obbedire e combattere
Atletico, perseverante, pronto al sacrificio
Il fascismo aveva una forte componente utopistica secondo la quale bisognava creare un «uomo nuovo».
Quali caratteristiche avrebbe dovuto avere questo nuovo tipo umano? Lo storico tedesco George L. Mosse ha scritto: «Naturalmente era virile: il fascismo rappresentava se stesso come una società maschile che perseguì in tempo di pace il cameratismo nato nelle trincee, quel mito cioè dell’esperienza bellica che fu tanto importante in ogni forma di fascismo». Mussolini fu spesso rappresentato nelle sculture come un principe del Rinascimento o come l’imperatore Augusto, e vi sono anche molte sue fotografie mentre fa la boxe, spesso a petto nudo. Se i liberali e i socialisti venivano descritti dalla propaganda come «confusionari, chiacchieroni e cerebrali», l’uomo nuovo fascista doveva essere «atletico, perseverante, pronto al sacrificio», ma anche «energico, coraggioso e laconico ».
Il modello mitico: l’antica Roma imperiale
Altra importante componente ideologica fu l’esaltazione della potenza e della forza della Roma imperiale, interpretata come degna anticipatrice della gloria e dei successi fascisti.
Per questo nei gesti e nel linguaggio il fascismo si volle mostrare come il naturale continuatore della Roma antica. Mussolini era il duce, termine col quale nel mondo romano s’indicava il generale, il capo militare valoroso e trionfante in battaglia. Come segno di continuità col passato i fascisti reintrodussero l’uso del «saluto romano», alzando il braccio destro in alto.
Anche il «fascio littorio», simbolo del Partito fascista, veniva già usato in età romana. Si trattava di un fascio di bastoni di legno legati insieme che rappresentava il potere dei consoli. I fasci littori erano dunque il simbolo della forza e dell’unità del popolo romano. A portare i fasci in spalla erano dodici littori, cioè gli ufficiali che scortavano i consoli nei loro viaggi. I consoli fuori dalle mura avevano pieni poteri di vita e di morte, simboleggiati dalle asce unite al fascio.
Nonostante questo richiamo al passato, in realtà il fascismo cercò sempre di presentarsi come movimento utopistico, rivolto verso il futuro. Dice ancora Mosse: «Dappertutto si ritrova il culto del passato romano; esso è determinante per lo stereotipo fascista ogni qualvolta lo troviamo. Ma questo passato rimase, almeno fino agli ultimi anni del regime, un punto di partenza per l’uomo fascista ideale del futuro. La tradizione ispirava la sua consapevolezza, ma lui stesso doveva elevarsi al di là di essa, senza perdere di vista il suo punto di partenza».
Le parole del regime
Il fascismo impose il suo marchio anche nel linguaggio, nel modo di esprimersi. Per esempio, impose l’uso del «voi» al posto del «lei» nella conversazione. Inoltre, diffuse molti slogan attraverso la radio e il cinema, o anche scrivendoli sui muri lungo le strade: «Mussolini ha sempre ragione», «Credere, obbedire, combattere », «Vincere e vinceremo». Il «dizionario fascista» comprendeva termini specifici per definire figure e ruoli tipici del regime. Innanzi tutto la parola «camerata» che letteralmente significa «compagno, amico» e che era il nome dato a chi si iscriveva al Partito fascista. Termine utilizzato come sinonimo di camerata fu «camicia nera» perché i fascisti si distinguevano proprio per il fatto di indossare questo indumento, come una divisa militare. La definizione di «balilla», utilizzata per indicare i ragazzi compresi tra gli 8 e i 14 anni, fu ripresa dal soprannome dato a Giovanni Battista Perasso, un ragazzo che nel 1746 diede inizio alla rivolta dei Genovesi contro gli Austriaci. I bambini più piccoli, invece, erano chiamati «figli della Lupa», con chiaro riferimento alle vicende romane. Anche le cariche politiche avevano nomi di origine antica. La parola «gerarca», per esempio, in passato definiva un’autorità religiosa, mentre durante il regime vennero chiamati gerarchi le massime autorità del Partito Fascista.
La carica di «podestà» nel Medioevo indicava il capo del Comune: con Mussolini la parola definì nuovamente il capo delle amministrazioni comunali nominato direttamente dal governo.