Vivere nel Terzo Reich
Bambini che giurano fedeltà al führer, giornalisti che scrivono solo quello che dice il ministero: tutta la germania fu inquadrata nelle strutture totalitarie del regime. E i tedeschi perlopiù si adeguarono nell’illusione di una vita migliore
La nazificazione della vita privata
Come è potuto accadere che degli onesti padri di famiglia si siano trasformati in strumenti della barbarie nazista? Se lo è chiesto anche una grande sociologa contemporanea, Hannah Arendt (1906- 1975), nel suo saggio più famoso, Le origini del totalitarismo (1951). Secondo la studiosa, certamente ebbero un ruolo importante l’insicurezza economica, la paura, la fobia del diverso e dell’anormale; ma veramente decisiva fu la riduzione dell’individuo a puro soggetto privato, cioè a un soggetto privo di qualsiasi interesse per il bene pubblico. I nazisti, sostiene la Arendt, furono i primi a comprendere che «un uomo simile era pronto a sacrificare per la pensione, l’assicurazione sulla vita e per la sicurezza della moglie e dei figli le proprie credenze, il proprio onore e la propria dignità umana».
Su questo «uomo-massa», indifferente alla sfera pubblica e politica, il nazismo si impose con il suo immenso apparato propagandistico e ne fece un «uomo-regime ». Si appropriò della vita di ogni singolo cittadino e lo espropriò della sua libertà di scelta.
L’illusione di una vita migliore
Dal febbraio 1933 alla primavera del 1937 il numero dei disoccupati scese da sei milioni a meno di un milione; nel 1939 la Germania raggiunse la piena occupazione. Dopo anni di fame, la garanzia di un posto di lavoro e di un po’ di benessere spinse i Tedeschi nelle braccia del regime.
Il calo della disoccupazione fu possibile grazie a imponenti lavori pubblici, come la costruzione della rete autostradale, e a ingenti commesse e sovvenzioni all’industria privata per la produzione di armi. I salari restavano bassi, ma erano in parte compensati dal controllo dei prezzi. I diritti sindacali erano soppressi, ma l’introduzione di alcuni servizi sociali, come l’assistenza medica e pensionistica, dava ai lavoratori l’illusione che la loro condizione fosse migliorata.
Anche la macchina per il popolo, la Volkswagen (volk=popolo; wagen=auto), ossia l’automobile utilitaria alla portata di tutti, avrebbe dovuto migliorare la qualità della vita dei Tedeschi. Nel 1938 la costruzione della gigantesca fabbrica a Wolfsburg, in Bassa Sassonia, fu affidata al Fronte del lavoro e venne finanziata dagli stessi lavoratori con trattenute sullo stipendio. Ma, con lo scoppio della guerra, la produzione fu indirizzata a fini bellici e il sogno di un’automobile per tutti svanì.
Il tempo libero dei Tedeschi fu organizzato con attività ricreative e propagandistiche. Nella struttura Kraft durch Freude, («Forza attraverso la gioia»), confluivano associazioni di svago che organizzavano escursioni, spettacoli, attività sportive. Erano iniziative a prezzi molto contenuti, da svolgersi all’aria aperta per esaltare il vigore e la bellezza fisica, così come voleva l’ideologia nazista.
I giovani
Più che alla scuola e alla famiglia il nazismo affidava l’educazione dei giovani tedeschi all’organizzazione della Gioventù hitleriana. Dai sei ai diciotto anni i ragazzi di ambo i sessi erano inquadrati nei diversi gruppi di questa vasta organizzazione di stampo paramilitare. I genitori che impedivano ai figli di farne parte erano condannabili a pesanti sanzioni.
Dai sei ai dieci anni i bambini compivano un apprendistato prima di entrare nella Hitlerjugend («Gioventù hitleriana»). Avevano un libretto personale su cui venivano registrati i progressi nell’attività sportiva e quelli nell’apprendimento della dottrina nazista. A dieci anni, dopo aver superato un esame di atletica, campeggio, storia «nazificata», entravano a far parte del Jungvolk («Giovane popolo ») con questo aberrante giuramento:
«Giuro di dedicare tutte le mie energie e la mia forza al salvatore del nostro Paese, Adolf Hitler. Sono disposto e pronto a dare la mia vita per lui». A quattordici anni il ragazzo entrava nella Gioventù hitleriana propriamente detta e vi rimaneva fino a diciotto anni. In seguito passava al lavoro obbligatorio o all’esercito.
Le ragazze seguivano all’incirca lo stesso percorso. Venivano arruolate come Jungmädel, («Giovani ragazze»), portavano anch’esse un’uniforme, composta da camicia bianca, gonna blu, calzini pesanti e scarpe da montagna. Il loro addestramento assomigliava a quello dei maschi e comprendeva lunghe marce con pesanti fardelli e il solito indottrinamento nazista. Nel Terzo Reich si metteva però in particolare rilievo il ruolo della donna in quanto potenziale madre: le ragazze dovevano essre sane per generare figli di pura razza ariana.
A quattordici anni entravano nella Bund Deutscher Mädel («Lega delle fanciulle tedesche»); a diciotto andavano nelle aziende agricole, per svolgere un anno di lavoro obbligatorio. Il loro compito era aiutare in casa e nei campi. Non mancarono problemi.
I mezzi d’informazione
Ogni mattina i redattori dei quotidiani si riunivano al ministero della Propaganda per farsi dare istruzioni precise sulle notizie da diffondere o da tacere, o sull’articolo di fondo desiderato quel giorno. I giornalisti dovevano essere politicamente e razzialmente «puri», e per legge, non dovevano diffondere informazioni che potessero indurre il pubblico in errore, indebolire la forza del Reich o offendere la dignità della Germania.
Anche la radio e il cinema furono imbrigliati al servizio della propaganda. La radio era considerata da Goebbels il mezzo di propaganda più efficace nella società moderna; egli si assicurò il completo controllo sulle trasmissioni. Non fu un compito difficile dal momento che la radio, come in quasi tutti i Paesi, era un monopolio dello Stato.
Il cinema rimase di proprietà di imprese private, ma il ministero controllava ogni settore di questa produzione.
![Jesse Owens](/sites/default/files/styles/1_1_sm/public/img/p/more/421Jesse_Owens3.jpg?itok=LA78MOy_)