Sommario
Protagonisti
Uomini (e donne) alla rincorsa del potere Simon Mago, un messia mancato Della regina aveva la stoffa Il profeta armato Ermengarda e le altre Tutto il potere a una donna

Ermengarda e le altre


L'autore
Alessandro Barbero

Alessandro Barbero (1959) insegna Storia medievale presso l’Università del Piemonte Orientale. È autore di numerosi saggi divulgativi (fra i più noti: Carlo Magno. Un padre dell’Europa, 2000; La battaglia. Storia di Waterloo, 2003; 9 agosto 378. Il giorno dei barbari, 2005; Lepanto. La battaglia dei tre imperi, 2010) e di alcuni romanzi (da Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle, gentiluomo, 1995, a Le ateniesi, 2015).

Quattro mogli e sei concubine, e chissà quante altre ancora dimenticate dalle cronache. Perché, se il matrimonio serve a fare figli e a stringere alleanze politiche, al cuore non si comanda.

Il matrimonio nell’Alto Medioevo
Nel ritratto di Carlo Magno tramandatoci da Eginardo emerge un’immagine di sensualità e amore per la vita. Questo dato è confermato anche dalla vita amorosa dell’imperatore, sempre circondato da numerose mogli e concubine, che si succedevano l’una all’altra a causa di ripudi o di decessi. Qualche volta addirittura coabitavano. Questa tumultuosa vita familiare, che si svolgeva del resto sotto gli occhi di tutti, si spiega col fatto che al tempo di Carlo Magno l’istituto matrimoniale era qualcosa di completamente diverso dal matrimonio cristiano così com’è andato formandosi in seguito. La visione che Carlo aveva del matrimonio era quella della tradizione germanica, che non dava al vincolo matrimoniale alcun significato sacro, in quanto lo considerava esclusivamente un contratto. Un re si sposava per avere degli eredi, poiché non c’era disgrazia peggiore, per un popolo, che la morte del re senza un figlio in grado di raccoglierne l’eredità. Di conseguenza, una moglie incapace di avere dei figli veniva ripudiata, senza che a nessuno passasse anche lontanamente nella mente che sterile fosse il marito. Questo era dunque il matrimonio per i Franchi. Una visione ben diversa da quella ecclesiastica: il divorzio non solo era ammesso, veniva anche praticato con grande frequenza.
Per un re il matrimonio era anche uno strumento politico per stringere alleanze, come sarebbe poi stata la norma in seguito. Di conseguenza la moglie non era sempre necessariamente persona di suo gradimento. Le consuetudini germaniche avevano risolto anche questo problema, contrapponendo al matrimonio vero e proprio, stipulato con un pubblico contratto e con la massima solennità possibile, la pratica d’un matrimonio per così dire provvisorio, o ufficioso. Si trattava della cosiddetta Friedelehe, che potremmo tradurre con “matrimonio d’amore”: un’unione legale e onorevole, ma sancita da un semplice atto privato, e che poteva essere facilmente sciolta. La Chiesa non approvava ufficialmente queste consuetudini, in quanto si trattava di pratiche che si richiamavano alla poligamia, e giudicava le mogli sposate secondo la Friedelehe volgari concubine. Non era ancora stata definita una precisa dottrina ecclesiastica sul matrimonio. Né il matrimonio era stato esplicitamente dichiarato un sacramento. Non solo. I laici non erano per nulla abituati a rispettare le affermazioni degli ecclesiastici in materia matrimoniale. Ecclesiastici anche loro abituati a una vita piuttosto libera, poiché lo stesso Carlo Magno, in uno dei suoi capitolari, stabilisce che almeno i sacerdoti non dovranno avere più di una moglie, in quanto in questo caso si rivelerebbero peggiori dei laici!

Rilievo in avorio raffigurante una coppia reale, XIII-XIV secolo.

La sposa longobarda
Alla luce di quel che s’è detto, possiamo cominciare a comprendere la complicatissima vita familiare del re franco. La sua prima moglie, sposata solo per ragioni politiche, fu la figlia del re dei Longobardi, Desiderio. Non ne conosciamo il nome: qualcuno la chiama Desiderata, ma sembra che si tratti d’una confusione col nome di suo padre. Manzoni, che non poteva certo avere un’eroina anonima, la chiamò Ermengarda, ma non ci sono prove a sostegno di questa tesi. In ogni caso il matrimonio non durò a lungo, perché Carlo Magno divenne nemico dei Longobardi e ripudiò la donna un anno appena dopo il matrimonio. Subito dopo Carlo sposò una nobile sveva, Ildegarda, che in circa dodici anni gli diede nove figli, quattro maschi e cinque femmine, prima di morire nel 783.
Tre dei quattro maschi vissero abbastanza da collaborare con il padre nella cura del regno, anche se solo uno gli sopravvisse. Vennero battezzati con i nomi tradizionali dei re franchi: Carlo, come il padre e il bisnonno; Pipino, come il nonno e gli avi più lontani; e infine Ludovico, che in realtà è lo stesso nome di Clodoveo, il primo re cristiano della dinastia merovingia (Chioduvig in antico franco). Le tre figlie sopravvissute si chiamavano Rotrude, Berta e Gisia. Morta Ildegarda, Carlo sposò lo stesso anno una nobile franca, Fastrada, che gli diede altre due femmine. Morì nel 794. Non deve stupire la frequenza con cui le donne morivano prima dei mariti, perché nonostante sfuggissero ai pericoli della guerra, quelli del parto erano ben più gravi. Inoltre le mogli dei re, il cui compito era quello di dare al regno e alla dinastia il maggior numero possibile di eredi maschi, erano letteralmente consumate dalle gravidanze.
Morta Fastrada, Carlo si risposò quasi subito con l’alamanna Liutgarda, che però non gli diede figli; nessuno, è ovvio, che sia sopravvissuto ai rischi dei primi mesi, poiché a quel tempo un neonato su due di solito moriva prima di compiere un anno.
Nell’800, qualche mese prima dell’incoronazione imperiale, anche Liutgarda morì. Dopo di lei l’imperatore non ebbe più mogli legittime.

Figure di sante, opera in stucco di arte longobarda (VIII-IX secolo). Cividale del Friuli, Tempietto longobardo.

Tanti figli, un unico erede
Eginardo ci informa ancora di una concubina, che aveva dato un figlio a Carlo di nome Pipino, detto il Gobbo: da non confondere col Pipino partorito da Ildegarda. La scelta di questo nome regale dimostra, che in assenza di altri eredi, Carlo intendeva lasciargli il regno. Anche se, più tardi, la nascita di tanti figli maschi da matrimoni approvati dalla Chiesa abbia portato all’emarginazione di Pipino il Gobbo, il suo nome venne sempre pronunciato per primo allorché, in chiesa, si implorava la benedizione divina sul re e sui suoi figli. Il bilancio della virilità di Carlo, come si vede, è impressionante: da quattro mogli legittime e sei concubine il re ebbe otto maschi e dieci femmine; e si tratta soltanto di coloro dei quali i cronisti ci hanno lasciato il nome.
I figli non diedero però a Carlo la felicità
sperata. Pipino, che nel 781 era stato incoronato re d’Italia, morì nell’810. Carlo, il maggiore, morì nell’811; quanto a Pipino il Gobbo, già molti anni prima s’era lasciato coinvolgere in una congiura contro il padre, ed era stato costretto a farsi monaco. Rimaneva soltanto Ludovico, che più tardi sarebbe stato soprannominato il Pio: forse il più lontano, nel carattere, da quel padre energico, sensuale e spregiudicato. A lui toccò intera la pesante eredità, e non seppe reggere quel peso.
Eginardo ammette che Carlo non sopportò queste morti con cristiana rassegnazione, ma manifestò apertamente il suo dolore. Per noi, oggi, questo tratto non appare certo negativo, e in verità è triste pensare che Carlo, ormai più che sessantenne e vicino egli stesso alla morte, abbia visto scomparire uno dopo l’altro i due figli maggiori che avrebbero dovuto continuare la sua opera.
Fu la compagnia delle figlie a rendere meno infelice la vecchiaia di Carlo: vissero sempre con lui e nessuna, per desiderio del padre, si sposò. Il che non impedì loro di avere relazioni quasi ufficiali e generare dei figli.
 

Ludovico il Pio, miniatura da manoscritto del XIV secolo. Vienna, Biblioteca Nazionale Austriaca.

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