Sommario
Protagonisti
Uomini (e donne) alla rincorsa del potere Simon Mago, un messia mancato Della regina aveva la stoffa Il profeta armato Ermengarda e le altre Tutto il potere a una donna

Il profeta armato


L'autore

Anne-Marie Delcambre (1943-2016) è stata una storica e islamologa francese.
Docente di lingua araba, è stata autrice di numerosi articoli e libri su Maometto e sull’islam.

La parabola di Maometto: prima fuorilegge, poi spietato condottiero, infine capo di Stato.
Sempre impegnato nella predicazione di una nuova religione.

Da perseguitato a capo di un popolo
Verso il 620 la situazione alla Mecca si era fatta insostenibile per Maometto. La predicazione della nuova fede l’aveva portato a scontrarsi con il suo stesso clan, quindi era una pecora nera, un escluso, un fuorilegge, un uomo socialmente morto.
Chiunque poteva impunemente ucciderlo o venderlo come schiavo, tanto nessuno lo avrebbe difeso o vendicato. I suoi nemici non conoscevano più limiti: i vicini gli avevano tirato addosso frattaglie di pecora mentre pregava, un mascalzone gli aveva gettato della sabbia in testa. È in questa situazione che Maometto incontra sei pellegrini provenienti da Yatrib. La futura Medina è all’epoca travagliata da violente lotte tra le tribù (tre ebraiche e due arabe) e i pellegrini pensano che Maometto, con la sua forte personalità, potrebbe risolvere i problemi della città. L’anno dopo, cinque di quei pellegrini tornano, accompagnati da altri sette. Sono dunque dodici, come gli apostoli di Gesù. Si riuniscono vicino alla Mecca, presso le montagne di Aqaba, e prestano il cosiddetto Primo Giuramento di Aqaba. Maometto chiede agli abitanti di Yatrib di proteggerlo come farebbero con le loro figlie e le loro donne. È la formula classica per coloro che vogliono entrare in un clan.
L’importanza di questo giuramento è enorme. Nella società araba del deserto, in cui un individuo senza antenati non è concepibile, Maometto taglia volontariamente ogni legame con la propria famiglia. Afferma così che la legge del clan è superata: non sono i legami di sangue che contano, ma i patti di alleanza fondati su un ideale comune. Alla tribù succede la comunità, la umma. Nel 622, infine, 75 pellegrini giurano a Maometto che combatteranno per lui. È il Secondo Giuramento di Aqaba con cui Maometto diventa un capo: non di una tribù, ma di un popolo, come Mosè.

Abu Bakr difende Maometto dal lancio delle pietre scagliate da una folla di infedeli, miniatura turca dal manoscritto Sivar-i Nabi di Darir, XVI secolo. New York, Public Library.

Un condottiero

Con l’ègira, dunque, inizia veramente un’epoca nuova per il mondo arabo: termina l’era dell’organizzazione tribale e ha inizio quella dell’islam, che è sia una dottrina religiosa sia l’organizzazione di una comunità di credenti. A Medina, infatti, Maometto detiene il potere di un capo indiscusso: a differenza di Gesù, il suo è un regno anche di questo mondo. Per esercitare davvero questa autorità, è però indispensabile ricorrere alla forza delle armi.
Maometto, infatti, deve subito affrontare un difficile problema: il mantenimento dei fedeli che insieme a lui sono emigrati dalla Mecca. Si tratta di 75 persone e non si può approfittare all’infinito dell’ospitalità dei musulmani medinesi. Nell’avversità, Maometto si riscopre beduino. C’è un’unica soluzione: la razzia. L’obiettivo sono le carovane degli abitanti della Mecca, in viaggio verso la Siria, che transitano a un centinaio di chilometri da Medina. Nel dicembre 623, così, gli emigrati attaccano e saccheggiano una carovana e riportano trionfalmente a Medina bottino e prigionieri. Ma è l’anno successivo che si presenta un’occasione veramente buona: una carovana di mille cammelli, scortata da decine di mercanti, che trasporta grandi ricchezze. Avvistata la carovana, Maometto l’attacca con 300 uomini vicino al pozzo di Badr. Questa battaglia, in cui si contano 74 morti e 40 prigionieri tra i Meccani e 14 morti tra le truppe di Maometto, è considerata la prima grande vittoria del Profeta.
Per la prima volta l’islam trionfa per mezzo delle armi. Per la prima volta i mercanti della Mecca si rendono conto dell’audacia del Profeta, della convinzione che anima i suoi discepoli e del pericolo che minaccia le loro vite e il loro commercio. D’altra parte, i musulmani ormai sono convinti che Allah ha inviato i suoi angeli per sostenere Maometto.

Tra Ebrei e Meccani
Nella primavera del 625 i Meccani decidono di vendicare la sconfitta di Badr e si mettono in marcia verso Medina con 3000 soldati. Maometto li affronta ai piedi del monte Uhud, appena fuori della città, con meno di mille uomini. Per i Medinesi è una disfatta. Lo stesso Maometto viene ferito. La sconfitta indebolisce il Profeta di fronte ai Medinesi. Gli Ebrei e i pagani si rivoltano e soltanto la coesione dei suoi fedeli consente a Maometto di riprendere il controllo della città. Lo scontro con gli Ebrei sarà duro e molti di loro abbandoneranno Medina.
Due anni dopo, nel marzo 627, i Meccani attaccano nuovamente, questa volta con un esercito di 10 000 uomini. Per due settimane Medina subisce l’assedio. Ma il quindicesimo giorno una tempesta getta lo scompiglio nel campo meccano, strappando le tende, spegnendo i fuochi, disperdendo cavalli e cammelli. Gli assalitori decidono così di ritirarsi: per Maometto è la vittoria. Durante l’assedio gli Ebrei di Medina avevano preso le parti dei Meccani. Maometto decide allora che gli uomini siano decapitati, le donne e i bambini venduti, e i loro beni confiscati, per punirli di aver desiderato la vittoria degli infedeli. All’indomani della battaglia, Maometto fa scavare grandi fosse nel mercato di Medina. Gli Ebrei legati vengono condotti sull’orlo delle fosse, decapitati a uno a uno e gettati dentro. Sono quasi mille.

Maometto cerca di convincere i musulmani ad attendere a Medina l’attacco dei pagani della Mecca, miniatura del XVI secolo.
Istanbul, Museo Topkapi.

Il ritorno alla Mecca

La situazione però resta assai difficile. L’islam è stretto tra l’ostilità della Mecca e degli Ebrei di Khaybar. Ed ecco che Maometto annuncia, tra lo stupore generale, la decisione, ispirata da un sogno, di recarsi in pellegrinaggio alla Mecca.

Nel febbraio 628 parte effettivamente, seguito da un migliaio di uomini disarmati e vestiti del costume tradizionale del pellegrino. Si presenterà così alle porte della Mecca: armato solo della sua fede. I Meccani non sanno che cosa fare: è impensabile impedire l’ingresso alla città a dei pellegrini, anche se quelli sono i loro peggiori nemici. Alla fine propongono un accordo: Maometto potrà entrare alla Mecca l’anno seguente, per tre giorni. Tra la delusione dei suoi, Maometto accetta e nel marzo 629 compie il pellegrinaggio. Tuttavia nel gennaio del 630, col pretesto dell’omicidio di un musulmano, Maometto rompe l’accordo e marcia sulla Mecca con un’armata di 10 000 uomini. A quel punto i ricchi mercanti preferiscono convertirsi e accettare le condizioni del Profeta.
L’11 gennaio 630 Maometto e i suoi entrano alla Mecca. Il Profeta si reca alla Kaaba, ne fa per sette volte il giro, distrugge tutti gli idoli e dichiara sacro il luogo in cui sorge il santuario. Annuncia quindi che d’ora innanzi la sola aristocrazia sarà quella religiosa. Ormai l’attende l’ultimo compito: quello di dare, in qualità di capo di Stato, una legge al suo popolo.

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