Sommario
Storia di copertina
Un incubo al potere il secolo dei dittatori - Introduzione Stalin: l'uomo d'acciaio La moglie e i figli di Stalin Mussolini, pubblico e privato Claretta, l'unico vero grande amore? Hitler un criminale al potere

Hitler un criminale al potere


L'autore
William L. Shirer

William L. Shirer (Stati Uniti 1904- 1993) - Corrispondente in Germania negli anni dell’ascesa del nazismo, ne seguì da vicino le vicende fino alla guerra e anche dopo di essa. Oltre che sulle proprie esperienze, ha basato i propri scritti sulla consultazione degli archivi, scrivendo opere assai apprezzate come la Storia del terzo Reich (tr. 1962); Diario di Berlino 1934-1947 (tr. 1967); La caduta della Francia da Sedan all’occupazione nazista (tr. 1971); Mahatma Gandhi (tr. 1983); Gli anni dell’incubo 1930-1940 (tr. 1987).

Una giovinezza di frustrazioni e di sogni mancati. Fu la guerra la sua grande occasione e l’oratoria la sua arma vincente

Uno studente incapace e irrequieto

Alois Hitler sposò, a quarantotto anni e dopo due matrimoni, Klara Polzl, una giovanissima cugina. Da questa coppia il 20 aprile 1889, nel piccolo villaggio di Braunau sul confine austro-bavarese, nacque Adolf Hitler. Il padre era un impiegato della dogana, la madre una casalinga, infelice per il suo matrimonio.

I rapporti di Adolf Hitler con suo padre, uomo rigido e autoritario, furono conflittuali: egli stesso raccontò degli scontri con il vecchio padre che voleva imporgli una carriera da impiegato statale. Forse da questo rifiuto derivarono i suoi disastrosi risultati scolastici e l’abbandono precoce degli studi. A scuola il suo comportamento era irrequieto, talvolta aggressivo. Dai giudizi di alcuni insegnanti risulta che era «attaccabrighe e testardo, presuntuoso e di cattivo carattere, incapace di sottomettersi alla disciplina scolastica ».

Fu invece precoce il suo interesse per la politica e per il nazionalismo pantedesco. Amava le antiche leggende germaniche, i miti pagani, i personaggi gloriosi della storia tedesca, ascoltava la musica di Wagner. Odiava il plurinazionale impero austro-ungarico e tutte le razze non germaniche. Abbracciò le teorie antisemite e le arricchì di espressioni tratte sia dalla biologia razziale che dalla parassitologia: gli Ebrei, oltre che stranieri e materialisti, erano per lui la «tubercolosi» dei popoli. A sedici anni, insomma, Hitler era già l’uomo che l’Europa conobbe: un fanatico nazionalista germanico.

Il piccolo Hitler in una foto dell'epoca.

Artista scadente ma grande oratore

Nel 1906, dopo la morte dei suoi genitori, Hitler si trasferì a Vienna. Iniziarono gli anni più duri della sua vita: era in miseria, solo, vagabondava per la città vivendo di espedienti. Fece il manovale nei cantieri edili, spalò la neve, lavorò come facchino alla stazione; quando gli capitavano le occasioni migliori dipingeva cartoline e manifesti pubblicitari per qualche bottega. Ma aveva diciotto anni ed era pieno di speranze: sognava ancora di diventare un artista famoso. Per quattro anni consecutivi cercò di entrare all’Accademia di Belle Arti, ma tutte le volte fu respinto per la sua mediocrità. «Scarse attitudini, prova di disegno insufficiente», fu il verdetto della commissione esaminatrice. Osservando le grandi manifestazioni di piazza dei lavoratori viennesi, Hitler comprese che il successo nella politica dipendeva dalla capacità di orientare il consenso delle folle. I socialisti avevano saputo creare un movimento di massa, avevano imparato l’arte della propaganda. Al contrario il maggior difetto del partito pangermanista era l’incapacità di risvegliare le masse. Hitler non s’impegnò ancora nella politica attiva, ma iniziò a esercitare la sua oratoria davanti a uditori occasionali, nei dormitori pubblici e nelle mense popolari. Aveva un talento naturale, unico, che contribuì in grande misura al suo successo.

 

Volontario in guerra con i Tedeschi

Nel 1913 Hitler si trasferì a Monaco. Aveva 24 anni e non era riuscito a diventare né pittore, né architetto. Non aveva amici, né un lavoro, né una casa: non era altro che un vagabondo eccentrico. Aveva già maturato l’idea che la razza «padrona» dei Tedeschi avesse il compito di dominare le razze inferiori, provava un odio viscerale per la democrazia e il parlamentarismo. Era animato da un’irriducibile fiducia in se stesso e dalla profonda convinzione di avere una missione da compiere.

Quando nel 1914 scoppiò la guerra si offrì volontario. Si arruolò nell’esercito tedesco perché odiava servire quello austriaco a fianco di Ebrei, Slavi e altre minoranze etniche. La guerra fu per lui la grande occasione: finalmente poteva lottare per la sua amata patria d’adozione, soprattutto poteva superare gli insuccessi e le frustrazioni degli anni precedenti.

Adolf Hitler fu un soldato coraggioso. Fu ferito due volte e decorato al valore con la croce di ferro, la più alta onorificenza militare, che egli portò con orgoglio fino alla fine della sua vita. Era tuttavia un soldato strano: a differenza degli altri commilitoni non riceveva mai lettere né pacchi da casa, non chiedeva mai licenze, non dimostrava alcun interesse per le ragazze, non brontolava mai per la sporcizia, i pidocchi, il fango, il tanfo delle trincee. Alcuni compagni lo descrivono in preda a vere crisi di nervi: lo si vedeva dapprima immerso nei suoi pensieri con le mani sulla testa e all’improvviso scattare inveendo contro i «nemici interni del popolo tedesco»: gli Ebrei e i marxisti.

Si può comprendere come Hitler interpretò la sconfitta tedesca e la fuga del kaiser: pianse disperatamente e la definì la più grande ignominia del secolo. Da quella esperienza Hitler prese coscienza del proprio destino e decise di consacrarsi alla politica.

Alle origini del nazionalsocialismo

Finita la guerra Hitler trovò impiego nella sezione stampa e propaganda delle forze armate e fu assegnato all’istruzione delle truppe. Fu un incarico importante perché in questa circostanza Hitler comprese che poteva sfruttare il suo talento oratorio.

Nel settembre 1919 venne a contatto con il Partito dei lavoratori tedeschi, una piccola formazione politica, nata da poco. Lesse gli scritti del suo fondatore, Anton Drexler, e vi riconobbe molte delle proprie idee. Partecipò alle riunioni di quel gruppo di poveri diavoli nel retrobottega di una birreria e in poco tempo raggiunse una posizione di primo piano. Un anno dopo prese le redini del partito e lo ribatribattezzò Partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori.

Hitler inventò la bandiera con il simbolo della svastica. Scelse i colori e il simbolo con un preciso significato: il rosso rappresentava l’idea socialista del movimento; il bianco, la nazione; la svastica, la missione per la vittoria dell’uomo ariano. Disegnò gli stendardi con la svastica e la corona d’argento sormontata da un’aquila da portare alle adunate. Anche la bandiera quadrata con il motto «Ridestati Germania» fu opera sua. Non era certo arte, ma dal punto di vista della propaganda, tutto questo si rivelò molto efficace.

Le successive vicende biografiche e personali di Hitler coincidono con la storia della Germania, fino alla morte suicida nel bunker della Cancelleria del Reich il 30 aprile 1945, insieme a Eva Braun, sua compagna dagli inizi degli anni Trenta e che aveva sposato il giorno prima.

Storia del terzo Reich, Einaudi, 1962

Hitler ed Eva Braun
Adolf Hitler ed Eva Braun

Adolf Hitler ed Eva Braun

L’amore ha avuto nella vita di Hitler un ruolo molto limitato.

«Un uomo intelligente» sosteneva Hitler «dovrebbe prendere una donna molto stupida e primitiva».

Ebbe in tutto un paio di donne, che trattò come faccende di poco conto e non rese felice. Il suo unico amore, la nipote Geli Raubal, si sparò nel 1931: per il dispiacere di essere trascurata e continuamente offesa («mi usa solo per certi scopi»). La sua compagna successiva, Eva Braun, tentò il suicidio nel 1932 e nel 1935; infine, con successo, nel 1945, nel bunker a fianco di Hitler.

Hitler ed Eva Braun

Hitler ed Eva Braun fotografati all’interno del Berghof, sulle Alpi bavaresi. Si tratta della casa di montagna dove il führer e la sua compagna andavano per rilassarsi.

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