Stalin: l'uomo d'acciaio
Trockij lo giudicava una mediocrità, secondo Lenin era incapace di gestire il potere: eppure Stalin diventò la guida indiscussa dell’URSS. Anche per mezzo della sua crudeltà senza limiti
Una grande forza di volontà
Il vero nome di Stalin era Iosif Vissarionovič Džugašvili. Stalin, cioè «l’uomo d’acciaio», fu lo pseudonimo con cui egli stesso incominciò a firmarsi sin dal 1912. Si diede questo nome di battaglia per sottolineare la sua grande forza di volontà, una caratteristica che i suoi stessi compagni di partito gli riconoscevano. Stalin era nato il 21 dicembre 1879 a Gori, un piccolo paese fra le montagne del Caucaso (in Georgia). Il padre era un modesto calzolaio e anche la madre, che si occupò della sua educazione, era di umili origini. Il giovane Stalin fu mandato a studiare teologia. Ben presto, però, abbandonò gli studi religiosi per dedicarsi alle teorie di Marx e Lenin.
Stalin leggeva pubblicazioni clandestine e partecipava a riunioni segrete di organizzazioni politiche antizariste: fu forse per questo che venne espulso dalla scuola nel 1899. Aderì poi al partito bolscevico e si distinse per le sue capacità organizzative. Anche lui, come Lenin, subì le persecuzioni della polizia zarista: fu arrestato sette volte e cinque volte scappò dalle prigioni imperiali. Costretto all’esilio, tornò in patria nel marzo 1917.
Insieme a Kamenev («uomo di pietra», pseudonimo di Lev Borisovič Rosenfeld) diresse il quotidiano del partito bolscevico, la «Pravda», riuscendo ad assumere posizioni sempre più importanti grazie alla sua fermezza e alla sua personalità.
La sua ascesa politica
Trockij disprezzava Stalin per la sua mancanza di educazione e di cultura: lo definiva «un’emerita mediocrità». Quanto a Lenin, nel suo testamento politico chiese al partito di togliere a Stalin la carica di segretario generale, poiché lo giudicava «troppo grossolano». Il suo posto doveva toccare a qualcuno che fosse «più tollerante, più leale, più cortese e più riguardoso verso i compagni, meno capriccioso».
Secondo Lenin, Stalin aveva «già concentrato nelle sue mani un immenso potere [...]; non sono sicuro – aggiungeva – che sappia servirsene sempre con sufficiente prudenza».
Nonostante ciò, proprio in virtù del potere che ormai deteneva, Stalin ebbe la meglio su Trockij.
Secondo lo storico Fischer, quattro erano le regole che Stalin applicava per arrivare al successo:
- ogni metodo è giustificabile se aiuta a raggiungere il risultato desiderato;
- gli uomini devono essere messi da parte quando non servono più;
- le alleanze sono fatte per essere rotte;
- le idee non hanno consistenza, se non sono legate al carro del potere.
La capacità di superare le proprie debolezze
Prima della rivoluzione d’ottobre, Stalin si era sentito spesso in condizione di inferiorità rispetto ad altri membri del partito bolscevico più preparati. Perciò, una volta giunto al potere, egli si sforzò di ampliare la propria cultura. Studiò a fondo gli scritti di Lenin, naturalmente, ma anche i testi del socialismo scientifico ed ebbe sempre un vivo interesse per la storia, in particolare per le biografie degli zar e degli imperatori. Cercò di approfondire la sua preparazione in campo filosofico e si fece impartire lezioni da un filosofo bolscevico, Jan Sten, che due volte alla settimana si recava dal dittatore e gli spiegava la dialettica hegeliana.
Allo stesso modo Stalin cercò di superare un’altra sua grande debolezza: la difficoltà a parlare in pubblico. Negli anni Venti, tra i seguaci di Lenin, Stalin era il meno abile a tenere discorsi. Era ben difficile per lui competere con Trockij, che con la sua oratoria coinvolgente suscitava sempre l’entusiasmo delle masse. L’impaccio di Stalin nasceva anche dal fatto che egli non amava i bagni di folla e si sentiva a disagio quando doveva presentarsi nelle fabbriche, nelle caserme o alle manifestazioni di piazza. Con il tempo imparò a controllare questa difficoltà, ma non diventò mai un grande oratore. Stalin parlava lentamente, quasi con fatica, aveva un forte accento georgiano e un tono monocorde. I suoi discorsi erano schematici, caratterizzati da una struttura a domanda e risposta e frequenti ripetizioni.
Tutto ciò, però, suscitava grande impressione negli uditori e veniva giudicato come un segno di grande saggezza. D’altra parte, negli anni Trenta, Stalin si mostrò sempre più raramente alla popolazione, poiché aveva capito che in questo modo le sue apparizioni acquistavano valore. Tutto contribuiva a creare il mito attorno alla sua figura.
La sua crudeltà
La spietatezza di Stalin è confermata da numerosissimi documenti. Una volta un suo collaboratore gli scrisse: «Le invio l’elenco degli arrestati da sottoporre al giudizio del Collegio militare di prima categoria». La risposta fu lapidaria: «La fucilazione per tutte le 138 persone».
Nella sua opera di eliminazione dei «nemici del popolo», il dittatore non risparmiò neppure i parenti. Lo storico Nefedov, uno dei più scrupolosi biografi di Stalin, ha condotto in questo senso un’accurata ricerca, da cui si ricava, tra l’altro, che Stalin fece fucilare un cognato (fratello della prima moglie), che era stato anche suo amico d’infanzia, e rinchiudere in prigione una nuora (liberata poi nel 1943). Di questi crimini furono responsabili anche quei collaboratori di Stalin che non si opposero mai alle sue decisioni e non fecero nulla per arginare lo strapotere del dittatore. I personaggi a lui più vicini furono Molotov, Kaganovič e Vorošilov. Erano del tutto simili al loro «capo», tre collaboratori zelanti e spietati, che grazie alla loro incondizionata obbedienza si salvarono dalle purghe. Molotov condivise con Stalin un triste «primato»: in un solo giorno, il 12 dicembre 1938, i due approvarono la fucilazione di ben 3167 persone. L’elenco, come sempre succedeva in questi casi, non riportava né i reati di cui le persone erano accusate né le prove della loro colpevolezza: la pronuncia della condanna era una pura formalità.
Molotov è morto nel 1986, all’età di 97 anni, senza mai rispondere dei suoi crimini. Non rinnegò neanche le sue idee, anzi pochi anni prima di morire dichiarò: «Stalin non lo ritengo un genio, ma un grande uomo sì».
Fonte - Trionfo e tragedia. Il primo ritratto russo di Stalin, Mondadori, Milano, 1991