Sommario
Storia di copertina
Fenestrelle: lager dei Savoia? - Introduzione Così è scoppiata la polemica su Fenestrelle È tutto vero: Fenestrelle era un lager dei Savoia Una bufala storica il lager piemontese di Fenestrelle Il Regno delle Due Sicilie: lo Stato più esteso e progredito d’Italia Senza l’unità il Sud sarebbe ancora più arretrato

Il Regno delle Due Sicilie: lo Stato più esteso e progredito d’Italia


L'autore
Pino Aprile

Pino Aprile (1950), giornalista televisivo e direttore di periodici, si è occupato dei problemi del Meridione; è autore di testi come Mai più terroni. La fine della questione meridionale (2012), Terroni. Tutto quello che è stato fatto perché gli Italiani del Sud diventassero Meridionali (2013), Carnefici (2016).

In questo brano il giornalista Pino Aprile esalta la situazione del Regno delle Due Sicilie al momento dell’unità d’Italia.

Dovremmo tentare di vederci meridionali, nel 1860: viviamo in un Paese (e mo’ lo sappiamo) che non è inferiore agli altri, in molte cose primeggia, in altre no; la capitale, Napoli, è la terza città d’Europa e la prima d’Italia per magnificenza, modernità, popolazione, cultura (nonostante abbia più analfabeti che nel resto della penisola, «ma questo non costituisce un freno allo sviluppo, se non a tempi molto lunghi, forse» dice Malanima). Ha la miseria della plebe dei bassi; ma le due capitali davanti alla nostra sono la Parigi de I miserabili e la Londra che luccica sui ghetti di David Copperfield e Oliver Twist. «Non ho veduto a Napoli più miseria che a Londra, Parigi o New York» annoterà la scrittrice Fredrika Bremer, convinta di trovarvi «spaventevoli condizioni». Ed Herman Melville, l’autore di Moby Dick, dirà che quasi non riesce «a distinguerla da Broadway».

Il corpo del paese ha la parte migliore della testa nel futuro (dalla tecnologia alle scienze sociali-economiche è sicuramente più avanti del resto di Italia, più allineata all’Europa; Napoli e Parigi sono le città più colte del continente; ma allora e anche dopo, «più raffinata e robusta era la cultura espressa dalla società meridionale, meno le riusciva di essere efficacemente rappresentativa» dice Francesco Barbagallo, in La modernità squilibrata del Mezzogiorno d’Italia); la parte più pigra della testa del Paese, nobiltà retriva e borghesia della rendita, si adegua opportunista al presente e al potente; il resto del corpo, pura forza da lavoro, specie nelle regioni dell’interno (ché la costa scambia beni e idee col mondo), giace spesso nel passato, o in un non-tempo sospeso. Altrove, in Italia, hai forse meno eccellenze, ma il corpo sembra, e magari è, più omogeneo.

«Napoli non avea men soldati che Francia, men vascelli che Londra, men libertà che America, men arti belle forse che Roma, men verniciamenti che Parigi; ma queste cose sole non danno felicità. Eppure di tutte queste cose avea tal somma, che relativa al territorio e alle sue condizioni, non era seconda a nessuno. Nella somma delle cose il reame era il meglio felice del mondo; e quanti vi arrivavano stranieri si arricchivano, e i più vi restavano. La popolazione in quarant’anni crebbe d’un quarto» scrisse uno dei delusi dall’unità, il citatissimo Giacinto de’ Sivo1.

Lo stemma del Regno delle Due Sicilie.

Siamo uno degli Stati più antichi d’Europa, il più esteso ed economicamente progredito d’Italia (lo dimostreranno economisti della statura di Salvemini ma, nel frattempo, ci avranno già ridotto in miseria e l’affermazione suonerà provocatoria). «Da quasi tredici secoli i meridionali sono uniti, essi sono pacifici come i popoli veramente civili, il loro sistema economico mira più al benessere sociale che al profitto di pochi, l’amministrazione pubblica è oculata e ponderata, la pratica religiosa colora i loro caratteri» riassume Vincenzo Gulì2 (Il saccheggio del Sud). […] Nell’industria siamo avanti e in molti campi, all’avanguardia [...]; l’attenzione del re al benessere del popolo si manifesta in molti modi: nel contrasto al potere della nobiltà sulla plebe, nella fornitura di servizi essenziali (varie forme di assistenza ai più derelitti, la prima campagna italiana di profilassi antitubercolare, la prima assegnazione di case popolari; provvidenze e agevolazioni per i contadini; sino alle pensioni per «i letterati poveri» e quasi sempre repubblicani). […] I prodotti pregiati dell’agricoltura meridionale, per dire, sono troppo cari per il resto d’Italia. Solo l’11,8 per cento delle esportazioni e l’8,5 per cento delle importazioni delle Due Sicilie è con gli altri Stati preunitari, perché «l’economia meridionale apparteneva al circuito commerciale che la ricollegava saldamente ai Paesi del Nord e del Centro Europa» (Banti, La nazione del Risorgimento). Però, di nuovo, fidiamoci più delle gambe che dei pur rispettabili professori: dal Sud non emigra nessuno (poche migliaia di persone), negli anni precedenti l’invasione, mentre vanno via a milioni dalle altre regioni d’Italia, sia da quella alpina, dal Nord-ovest al Nord-est, sia da quella padana (dove, per la sottoalimentazione, si soffre di cretinismo e pellagra), e pure da larghe zone del Centro. Soltanto dopo l’occupazione, il saccheggio e l’inutile resistenza armata, i meridionali cominceranno a emigrare, a milioni.

Ma questo lo scopriremo dopo. Oggi è il 1860, le tasse sono ancora poche, basse, di facile riscossione e i Borbone non le hanno mai aumentate, in centoventisei anni di regno. Ma soprattutto, vengono spese bene: si continua a citare, ad esempio di rigore e onestà, il nostro ex ministro delle Finanze, per quasi quarant’anni, il nobile toscano Bernardo Tanucci.

L’economia politica, quale disciplina universitaria, è stata inventata qui; e qui ne è sorta la prima cattedra al mondo. Sulle infrastrutture, specie strade, ci sono ritardi seri (anche se abbiamo avuto fra i tanti primati, la prima ferrovia d’Italia, il primo telegrafo elettrico, i primi ponti sospesi in ferro, l’illuminazione cittadina a gas) perché si è preferito puntare sui collegamenti marittimi; infatti nostre sono la seconda flotta mercantile e la terza flotta militare in Europa. […] Fra le strade e le rotte, i Borboni, dovendo spendere, scelsero le seconde. L’Italia unita decise diversamente (nel senso che il Sud perdette le rotte e non ebbe le strade se non «dopo» e «meno») Oggi l’Europa unita riscopre le «autostrade del mare», meno costose, meno lente, meno inquinanti.

P. Aprile, Terroni, Piemme

 

1- Giacinto de’ Sivo (1814-1867) era un funzionario dell’amministrazione del Regno delle Due Sicilie, anche storico e scrittore. Contrario all’unità della Penisola, rimase sempre fedele ai Borboni e fu più volte incarcerato per le sue idee politiche e poi esiliato.

2- Vincenzo Gulì è attualmente vicepresidente del movimento neoborbonico.

Condividi