Sommario
Storia di copertina
Moglie e madre, madonna e strega - Introduzione La dama di corte: ideale poetico e concretezza quotidiana L’amore al tempo di Catherine: la libertà delle occidentali Il momento più pericoloso: il parto La virago: una nuova idea di donna

La dama di corte: ideale poetico e concretezza quotidiana


Le poesie d’amore e i «romanzi cortesi» del XII e del XIII secolo hanno creato il modello femminile della donna-signora, bella e virtuosa, di cui il cavaliere si faceva vassallo. In realtà, le dame di corte avevano compiti e responsabilità precise.

L’immagine è un fotomontaggio delle «dame del Pollaiolo» per una mostra tenutasi a Milano al Museo Poldi Pezzoli sul Pollaiolo, appunto.

«Le donne, i cavalier, l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese io canto», annuncia Ludovico Ariosto nel proemio del suo Orlando furioso, il poema cinquecentesco che rievoca le gesta carolingie contro i Saraceni. Il primo verso di quest’opera ci introduce immediatamente nei temi che furono dell’epoca cavalleresca, seppure opportunamente adattati alle esigenze del pubblico del XVI secolo.

Essere donna tra Basso Medioevo ed Età moderna

Come sottolinea Ariosto, i protagonisti dell’età medievale sono proprio le dame e i cavalieri che combattono le guerre e vivono gli amori all’insegna dei valori della cortesia. Diventano anche i soggetti privilegiati della narrazione letteraria fino al XVI secolo, a testimonianza dell’importanza acquisita come modelli culturali. Non ci fu solo guerra quindi per i cavalieri medievali: dopo il Mille, si affermarono nuovi valori – grazie all’intervento fondamentale della Chiesa – che caratterizzarono la nobiltà non più solo per il rango e la nascita, ma per la nobiltà d’animo, per la sensibilità e la cultura come dimostra l’educazione di Tristano, modello di virtù cavalleresca e di amore cortese.

Il nuovo cavaliere si evolve, modifica la sua aggressività, diventa una figura diversa dal vassallo-guerriero dell’Alto Medioevo e questa sua trasformazione non avviene solo in direzione religiosa, mettendosi cioè al servizio della fede, ma anche in direzione laica, mondana. In questo cambiamento un ruolo di primaria importanza venne svolto dalle corti dei grandi signori, specialmente in Provenza, che si distinsero per essere luoghi di vita raffinata e di cultura.

Vita delle donne comuni
La vita delle donne comuni

All’interno delle corti, poi, un compito sempre più prestigioso ebbero le donne, dame e castellane, colte e raffinate, impegnate nella ricerca e nella pratica della grazia e del decoro, dedite al mecenatismo e ai giochi amorosi. Le poesie d’amore e i «romanzi cortesi» del XII e del XIII secolo hanno creato un modello femminile caratterizzato da alcuni tratti comuni: la bellezza, il possesso di ogni virtù, la gentilezza e la leggiadria. I poeti esaltarono questa donna-signora, con la quale il cavaliere riproponeva lo stesso rapporto di vassallaggio che aveva verso il signore: trasferiva cioè su di lei il sentimento di devozione e di fedeltà. L’amante diventava così il «vassallo» della dama, pronto a servirla in modo disinteressato. Ma per conquistarne l’amore non era sufficiente essere un guerriero valoroso, doveva aver imparato la «gentilezza», la raffinatezza (d’animo soprattutto), la magnanimità.

La vita delle donne comuni

La vita delle donne comuni era ovviamente ancora più lontana dai modelli poetici. Esse lavoravano duramente in casa e fuori. In campagna, partecipavano a tutti i lavori agricoli, anche ai più pesanti; a ciò ovviamente si aggiungevano tutti i lavori casalinghi.

In città, la donna era praticamente confinata entro le mura della casa: oltre a sbrigare le faccende domestiche, spesso svolgeva un’attività a domicilio, per esempio filava la lana.
Sia in campagna che in città le donne più povere lavoravano anche come serve nelle case dei ricchi o come operaie nelle botteghe artigianali. Erano pagate a giornata, ma il compenso in genere era la metà di quello dei maschi.

Vita delle donne comuni

Donne che filano, miniatura del 1402, dal De claris mulieribus di Giovanni Boccaccio.
Parigi, Biblioteca Nazionale.

Artista sconosciuto, Elizabeth Wriothesley contessa di Southampton (1572-1655). Kettering, Boughton House. 

Dalla fine dell’XI secolo al XII un nuovo complesso di valori si innesta su quelli precedenti e li modifica. La prodezza, il valore guerresco, il coraggio sopravvivono ancora come valori, ma cambia la destinazione: il cavaliere non combatte più per la fede, la destinazione non è più religiosa, ma laica, mondana e amorosa; il cavaliere ora combatte per la sua donna, come appunto dirà Ariosto le donne i cavalieri, l’arme gli amori, considerati in un tutto unitario.

La donna amata, «servita», la donna ideale su cui si sperimentava e si perfezionava la virtù cavalleresca veniva cantata dai poeti della letteratura cortese in forme e lingue diverse e formava così un repertorio di situazioni e personaggi che finirono per caratterizzare la letteratura europea fino al XVI secolo.
In realtà, la vita delle dame di corte era molto più concreta di quanto venisse descritta dai poeti ed era caratterizzata da compiti e responsabilità precise. In primo luogo, la dama, che spesso era una castellana, sovrintendeva il lavoro delle ancelle che si dedicavano alla filatura e alla tessitura della lana o al cucito. Anche la signora si dedicava al lavoro del ricamo o alla confezione di tappeti o arazzi che avrebbero ornato le sale del castello. Nelle famiglie dei piccoli e medi feudatari, le dame si occupavano anche di faccende più modeste.

Hieronymus Bosch, Adamo ed Eva nel giardino dell’Eden
Ma almeno, l’anima ce l’hanno?

In secondo luogo, la dama si occupava della cura dei figli maschi, fino ai sette anni, e dell’educazione delle figlie femmine, che consisteva nel ricamo, nella tessitura ma anche nel leggere e scrivere. Infatti le dame erano spesso più colte degli uomini: sono attestate ben diciassette poetesse nella produzione cortese e del resto i romanzi cortesi e le poesie dei trovatori, erano rivolti a un pubblico essenzialmente femminile.
In terzo luogo, alle dame spettava il compito di accogliere un ospite o un cavaliere che tornava dalla guerra o da un torneo.
Infine, la dama partecipava alla vita mondana del tempo: faceva passeggiate a cavallo, partecipava alle feste e alle battute di caccia, possedeva e sfoggiava il proprio falcone.
 

Ma almeno, l’anima ce l’hanno?

L’idea dell’inferiorità femminile perdurò nei secoli tanto che talora si sostiene che nel Medioevo si pensasse che le donne non avessero un’anima.
Gli storici ritengono questa credenza assolutamente falsa e sorta in seguito a una cattiva interpretazione di un testo di Gregorio di Tours. Si racconta che, durante una riunione di vescovi, un religioso intervenne per dire che una donna non poteva essere denominata «uomo». Questa frase venne interpretata a lungo come una prova che, nel Medioevo, i religiosi consideravano la donna senz’anima. Ma probabilmente, invece, qui il vescovo stava ponendo un problema grammaticale e non di principio: cioè metteva in luce che il termine «uomo» era ormai usato come termine generale, per riferirsi sia all’uomo sia alla donna!

Hieronymus Bosch, Adamo ed Eva nel giardino dell’Eden

Hieronymus Bosch, Adamo ed Eva nel giardino dell’Eden, 1480-90 circa.
Madrid, Museo del Prado.

Filippo Lippi, Ritratto di donna con uomo al battente, 1440 circa. New York, Met.

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