Sommario
Storia di copertina
Moglie e madre, madonna e strega - Introduzione La dama di corte: ideale poetico e concretezza quotidiana L’amore al tempo di Catherine: la libertà delle occidentali Il momento più pericoloso: il parto La virago: una nuova idea di donna

L’amore al tempo di Catherine: la libertà delle occidentali


L'autore
George Huppert

George Hupper insegna storia all'Università dell'Illinois a Chicago. Specialista di storia della Francia moderna, ha pubblicato tra l'altro Il borghese gentiluomo. Saggio sulla definizione di élite nella Francia del Rinascimento (il Mulino, 1978) e la Storia sociale dell'Europa moderna (il Mulino, 2001)

Nell’Europa medievale e della prima Età moderna i matrimoni venivano perlopiù combinati al fine di servire i più svariati interessi: da quelli politici dei sovrani, a quelli economici dei proprietari terrieri, mercanti e contadini. Ma almeno in linea di principio il principio della libera scelta di coloro che dovevano sposarsi era riconosciuto. Il Concilio di Trento lo sancì definitivamente.

Il tormento interiore delle giovani costrette a sposarsi contro la volontà ben di rado compare nei documenti ufficiali, quantunque il loro triste destino fosse senza dubbio uno dei dilemmi più comuni dell’epoca, oltre che il soggetto di innumerevoli drammi, novelle e canti popolari. A volte però anche gli archivi giudiziari custodiscono queste tragedie personali.

Ne è un esempio la causa intentata nel gennaio del 1529 da François Martin contro la giovane Catherine Gent per aver rotto la promessa di matrimonio. Il padre di Catherine era morto e la madre era decisa a garantire un futuro alla figlia, dandola in sposa a Martin. Le due famiglie avevano raggiunto un accordo preliminare sul matrimonio e Catherine aveva accettato un regalo dal promesso sposo; inoltre aveva acconsentito a fidanzarsi con Martin in una cerimonia pubblica davanti alla chiesa parrocchiale; per celebrare le nozze non mancava che il suo assenso, che però ella rifiutò di dare. L’avvocato difensore di Catherine sostenne in tribunale che le promesse erano state estorte alla ragazza con le minacce, e che era stata condotta in chiesa contro la sua volontà, e pur ammettendo che aveva promesso di sposare Martin, non era pensabile che volesse celebrare quel matrimonio, dal momento che lo sposo era notoriamente impotente.

 

Questo dipinto di Pieter Bruegel il Vecchio (1525-1569 circa) raffigura un corteo nuziale.

  1. Il corteo è costituito dai parenti degli sposi. È diviso in due gruppi, i maschi e le femmine, entrambi aperti da un suonatore di cornamusa.
  2. Lo sposo è inquadrato tra due alberi: ha una coroncina in testa e apre il corteo dei maschi.
  3. La sposa apre il corteo delle femmine. È accompagnata da due valletti ed è vestita di nero: l’usanza dell’abito bianco è infatti posteriore, risale all’Ottocento.

La sedicenne Edmonne, che depose in tribunale in favore dell’amica Catherine, confermò che questa non aveva mai avuto intenzione di sposare Martin, e ogni volta che la madre l’aveva esortata a sposarsi, ella aveva risposto, davanti alla testimone: «Madre, cara madre, vi prego, non costringetemi a sposarlo... Se siete stanca di prendervi cura di me, lasciate che vada a fare la serva». La testimone Edmonne aggiunse che l’accusata piangeva continuamente; in un’occasione l’aveva veduta inginocchiarsi e implorare la sorella maggiore, sposata, di aiutarla: «Mia cara sorella – aveva detto tra le lacrime – dite a nostra madre che non deve farmi questo, se non vuole ch’io diventi la più infelice delle donne».

Alla domanda se l’accusata piangeva mentre andava in chiesa il giorno in cui si era fi danzata, Edmonne rispose di non saperlo, perché era già calata l’oscurità. Alla domanda se Catherine si era fidanzata spontaneamente con Martin, Edmonne rispose che secondo lei Catherine era stata costretta: qualcuno l’aveva vista opporsi e recalcitrare fino a quando era stata afferrata per un braccio e trascinata davanti al prete da qualcuno che aveva detto: «Eccola qui». Inoltre, poco prima del fidanzamento la madre di Catherine aveva minacciato la figlia in presenza della testimone: «Per Dio, piccolo mostro! Se non ti decidi a sposarlo non vedrai un soldo da me, e ti tratterò in modo tale che tutti proveranno compassione per te. Piccolo mostro! Tròvati un padrone e vattene, perché non ti permetterò di restare con me se non lo sposi!».
«Sta bene, mamma – fu la risposta di Catherine – sarò felice di fare la domestica, e se non mi permetterete di andare a servizio, preferirei che mi uccideste piuttosto che sposare quell’uomo, e vi perdonerò.»

Chi deve pagare la dote?
Chi deve pagare la dote?

La nostra solidarietà va naturalmente a Catherine, perché per noi una donna ha il diritto inviolabile di scegliersi liberamente il marito. Ma il fatto degno di nota è che anche nel secolo XVI questo diritto era generalmente riconosciuto, e il motivo per cui Catherine Gent subì tante pressioni è che la giovane aveva effettivamente la facoltà di rifiutarsi di sposare Martin. Certo, disubbidire alla madre poteva comportare serie conseguenze, ma se si sentiva abbastanza sicura di sé ella poteva opporsi, essendo il matrimonio un contratto, e nessun contratto era valido se entrambe le parti contraenti non lo avevano firmato di loro spontanea volontà. Ecco perché il giudice chiese alla testimone se Catherine si era fidanzata contro la sua volontà. [...]

Chi deve pagare la dote?

Nel Medioevo il matrimonio era soprattutto un affare economico, tanto che alcuni documenti dell’epoca stabilivano addirittura che un matrimonio senza dote non era valido. Ma a chi toccava portare la dote, allo sposo o alla sposa? Secondo il diritto romano era la famiglia della sposa a dover portare dei doni al marito, che si sarebbe preso cura della famiglia. Per i Germani invece era il futuro marito a dover dare dei regali alla donna, per ottenerne la mano: era un’abitudine strana secondo lo storico romano Tacito che, raccontando i costumi dei Germani osservava che «tra di loro non è la donna a portare la dote all’uomo, ma è il marito che la dà alla donna».
Nel Medioevo inizialmente si impose progressivamente il modello romano.

Chi deve pagare la dote?

La donna anziana offre con la mano destra al giovane sposo la fede, l’anello che gli sposi si scambiano in segno di fedeltà, mentre con la sinistra apre una borsa piena di denaro. La donna è vecchia ma cerca in modo ridicolo di apparire giovane.

Il ragazzo, vestito di rosso secondo la tradizione dei matrimoni medievali, abbraccia la moglie con la mano destra, mentre con la sinistra cerca di raggiungere il borsello pieno di denaro.

Il pittore fiammingo Quentin Metsys in questo quadro ha voluto rappresentare un matrimonio di interesse tra sposi di età differente: un ragazzo giovane e bello sposa una donna vecchia e brutta, perché interessato al suo denaro.

La libertà dei giovani in Europa occidentale è un fatto decisamente eccezionale, se la si confronta con le usanze di altre società. La scelta del futuro sposo era strettamente legata alle questioni della proprietà e dell’eredità, ma restava una decisione autonoma, un contratto tra due adulti consenzienti. Ancor più eccezionale è l’uguaglianza apparente tra uomini e donne: anche se i teologi continuavano a recitare la vecchia lezione morale sull’inferiorità delle donne, nella realtà, come si può dedurre dalla causa civile che abbiamo appena riportato, lo scambio di promesse vedeva uomini e donne su un piano di parità.

La donna rurale di norma non veniva semplicemente affidata al futuro marito, ma esercitava una scelta, a quanto risulta, con la medesima libertà dell’uomo, decidendo se accettare o rifiutare una proposta di matrimonio.
La libertà della donna europea e la sua possibilità di avere rapporti con gli uomini sarebbero state inconcepibili in altre società. Le ragazze frequentavano la scuola del villaggio a fianco dei ragazzi, quantunque i vescovi tentassero di imporre la segregazione in un modo o nell’altro. Usciti di scuola, maschi e femmine erano liberi di giocare insieme, e i loro giochi erano la prova generale dei corteggiamenti futuri. [...]
[Ciò non significa] che mariti e mogli si considerassero uguali: era sottinteso che l’uomo di casa fosse anche il padrone. I mariti che non erano capaci di tenere sotto controllo le mogli rischiavano di essere oggetto di scherno, soprattutto durante gli scherzi rumorosi e i giochi del carnevale. Ma a dispetto di queste assunzioni, per la verità universali, in Europa occidentale le donne godevano di una posizione unica: potevano scegliere o rifiutare il marito, potevano liberamente risposarsi dopo la morte del coniuge, avevano diritto all’eredità e potevano lavorare, e non solo avevano pieno potere sugli affari domestici, ma potevano anche lavorare per un salario e dirigere un’azienda.

Niente avrebbe potuto colpire un visitatore proveniente dal mondo musulmano più della libertà delle donne occidentali, che camminavano per le strade a viso scoperto e a testa alta. Le donne europee, anziché essere confinate in un ambito familiare, non erano segregate in nessuna circostanza, e sebbene fosse loro negato l’accesso alle professioni associate alla Chiesa – sacerdozio, legge, medicina –, quale che fosse la loro condizione sociale potevano seguire perlomeno gli studi elementari, anche se ciò non riscuoteva il consenso incondizionato dell’autorità ecclesiastica. 

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