Le nuove pesti
A spaventare gli uomini del Cinquecento si aggiunsero due terribili malattie, il tifo e la sifilide. Il tifo comparve in Europa nel 1447: era la malattia della sporcizia. La sifilide venne importata da Haiti e si diffuse a partire dal 1493, durante l’assedio di Napoli: era la malattia della vergogna.
Il tifo: la malattia della sporcizia
Curiosamente, non sembra che il tifo sia esistito prima del 1477, anno in cui si manifestò la prima epidemia di questa malattia. I primi a esserne colpiti furono alcuni prigionieri turchi che i Veneziani avevano combattuto nel Friuli e che avevano portato nella propria città. I soldati veneziani ritornati dal campo di battaglia furono presto contagiati, così come i loro prigionieri. Da questo momento la malattia non cessò più di colpire periodicamente le truppe europee, obbligando talvolta a cessare i combattimenti o porre fine agli assedi.
Dovuto a un bacillo, il tifo era trasmesso dai pidocchi che s’infettavano pungendo il malato. Al termine dell’incubazione, che durava una decina di giorni circa, il malato era afflitto da cefalee e indolenzimenti con febbre fino a 40ºC. Aveva gli occhi iniettati di sangue, la lingua secca, rossa, disturbi d’insonnia accompagnati dal delirio. Dopo il quinto giorno, un’eruzione di piccole macchie rosse appariva su tutto il corpo. Il malato era prostrato da un torpore; la costipazione e l’anoressia erano totali, la sete intensa. Verso il decimo giorno si manifestavano disturbi cardiovascolari che portavano in un terzo dei casi alla morte. Se il malato non moriva, la sua convalescenza era lunga e penosa, con rischi di complicazioni.
La scoperta di un vaccino nel 1932, l’impiego del DDT che permise di sterminare le pulci, e infine il ricorso agli antibiotici hanno permesso di lottare efficacemente contro questa malattia che comunque resta endemica in alcune aree del pianeta.
La sifilide: la malattia della vergogna
Si racconta che già a bordo della Niña, una delle caravelle di Colombo, alcuni marinai furono colpiti, sulla via del ritorno, da una malattia sconosciuta. Il medico di bordo non si raccapezzava: erano comparsi bubboni inguinali e ulcere sugli organi genitali.
Nel 1530 il grande medico italiano Girolamo Fracastoro battezzò questa malattia sifilide, dal nome di un mitico pastore, Siphilus, protagonista di un dramma pastorale. Probabilmente importata da Haiti, dove i marinai si erano uniti a numerose donne indigene, la sifilide si diffuse in maniera folgorante grazie a una serie di eventi storici. A partire dalla fine del 1493, il male giunse in Italia. L’occasione fu l’assedio di Napoli da parte di Carlo VIII di Francia. Alcuni mercenari spagnoli dividevano con i loro «fratelli d’arme» italiani e francesi le stesse prostitute. Così contaminarono sia gli assediati che gli assedianti.
Rientrati in patria, i Francesi portarono con sé il «male di Napoli» che si diffuse in modo inarrestabile: nel giro di pochi anni tutta l’Europa fu contagiata. L’apparizione del «grande vaiolo», come venne anche chiamata la sifilide, accelerò l’evoluzione di una nuova visione del sesso. La relativa libertà che aveva prevalso nel Medioevo sparì. Le autorità reagirono alla sifilide chiudendo i bordelli municipali che sparirono quasi ovunque. La prostituzione fu sempre più condannata e la monogamia si rafforzò.
Si trattava di un male che non risparmiava né re né imperatori: Francesco I e Carlo V ne vennero entrambi colpiti. La sifilide inscriveva nella carne dei peccatori le stigmate della loro decadenza morale. Una malattia di cui avere vergogna.