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La paura fa novanta! - Introduzione Un Dio sordo e terribile Laggiù, in mezzo al mar... Le nuove pesti Un documento della paura degli ebrei Popoli che facevano paura: gli zingari

Popoli che facevano paura: gli zingari


Gli zingari erano una popolazione nomade d’origine indiana, composta da varie etnie, che dopo una lunga migrazione apparve in Europa alla fine del Medioevo. Oggi sono una popolazione quasi del tutto sedentarizzata, ma spesso continuano a far paura.

La comparsa degli zingari in Europa

Le prime apparizioni degli zingari in Europa risalgono alla fine del Medioevo. In Italia si comincia a parlarne nel 1422: due cronache dell’epoca riportano la presenza di zingari diretti a Roma dal papa, che si fermano a Bologna e poi a Forlì per alcune settimane. In un’altra cronaca riguardante la città di Fermo si narra che si presentarono in città una cinquantina di persone in possesso di privilegi papali: vengono indicati come «zengari» e dicono di essere un popolo del Faraone.

Se in un primo momento nel XV secolo si assiste, nei confronti degli zingari, a una fase di accoglienza – vengono percepiti infatti come pellegrini –, nel XVI comincia una fase di persecuzione che avrà il suo culmine durante il periodo nazista, nel corso del quale moriranno nei lager, oltre agli ebrei, 500.000 zingari.

Gli zingari vennero infatti identificati come criminali e sottoposti a vessazioni di vario genere. La Dieta di Augusta del 1500 non riconosceva come reato l’uccisione di uno zingaro. Un editto emesso a Milano nel 1563 permetteva a chiunque, nel caso non si potessero catturare, di ammazzarli impunemente e di portar loro via bestiame e denaro.

In tutta Europa vennero emanate disposizioni, appoggiate anche dall’atteggiamento popolare, che colpiscono per la loro implacabilità, e nelle quali è facile rilevare una convergenza di opinioni tra potere politico e religioso. Particolarmente emblematico è il caso di Roma.

Bando perpetuo degli zingari dalla città

Nella Roma cinquecentesca erano presenti stranieri d’ogni tipo, nonché moltissimi poveri. Questi stessi poveri, che nel Medioevo erano ritenuti simili a Gesù, nell’Età moderna divengono un problema di ordine pubblico.

La linea seguita fu quella di rinchiuderli: nel 1561 un bando proibì loro di mendicare in tutto il territorio cittadino, pena la prigione, l’espulsione o l’imbarco sulle navi. Gli zingari finiscono per essere confusi con vagabondi e mendicanti, e seguono la loro sorte.

In una società stabilizzata e sedentaria, il nomadismo è ritenuto degno di sospetto: colui che fa dell’errare un modo di vivere appare come colui che rompe le strutture della società.

Anche se a Roma, a differenza che nel resto d’Europa, non si arriverà mai a vere persecuzioni o a esecuzioni sommarie, si assiste a un crescendo di provvedimenti. Nel 1552 viene ordinata l’espulsione e il bando perpetuo dalla città per gli zingari, che creano scandalo con la loro presenza e i loro furti; nel 1555 viene revocata ogni licenza concessa agli zingari e ribadita la loro cacciata; nel 1556 viene addirittura decretata la pena di morte per gli zingari che si rifiutano di allontanarsi da Roma.

 

Un bando contro gli zingari emesso nel Ducato di Milano il 5 novembre 1605. Milano, Biblioteca Trivulziana.

Manodopera per le navi da guerra

L’apice delle persecuzioni viene raggiunto col pontificato di Pio V: l’impiccagione è la pena prevista, anche se è possibile, per gli zingari, subire un’altra sorte. Infatti il papa stava preparando la sua crociata contro i Turchi, conclusasi poi con la vittoria di Lepanto.

Le carceri servivano allora come serbatoio per il reclutamento della manodopera da destinare alle navi. L’imbarco sulle galere, come pena da espiare, è ricorrente nei bandi che riguardano zingari e vagabondi. Del resto, Pio V non era per nulla ben disposto nei confronti degli zingari: in un documento da lui approvato nel 1568 stava scritto: «Gli zingari, genìa di gente vagante colma di ogni empietà, se non vivranno cristianamente e non si asterranno dalle superstizioni e da riti riprovevoli di vita, i vescovi abbiano cura di cacciarli dalle loro diocesi il più lontano possibile».

La legislazione si fa più clemente

Secondo i registri della Confraternita di San Giovanni Decollato, che accompagnava i condannati al patibolo, sette zingari furono giustiziati a Roma tra il 1499 e il 1870: sei condanne furono eseguite tra il 1525 e il 1583, e una nel 1750. Questi zingari non furono condannati per la loro appartenenza etnica, ma per furto ripetuto o omicidio.

I momenti di repressione, indiscutibili, sembrano essere stati intervallati da lunghi periodi di relativa calma, durante i quali gli zingari erano liberi, sia pure in senso assai ristretto, di continuare a vivere in Roma. I reati per i quali furono maggiormente perseguitati erano il furto e la contravvenzione ai bandi, ossia il sostare a Roma quando era loro proibito. L’esilio era considerato misura più mite del carcere, anche se comportava a volte la confisca dei beni. Nella legislazione romana il primo bando del XVII secolo che tratta unicamente e specifi catamente degli zingari è del 1631, emanato sotto Urbano VIII. Siamo di fronte a un testo molto singolare rispetto ai precedenti; esso si apre con questo titolo: Sopra la reduttione de’ zingari e zingare al ben vivere. È chiaro l’intento di far cambiar vita agli zingari: si tratta del primo tentativo del genere fatto in Europa, frutto di una politica che potremmo chiamare di inclusione, mirante all’annullamento degli zingari come etnia mediante l’assimilazione più o meno forzata. 

I tanti nomi degli zingari

Nel XVII secolo a Roma, anche rispetto ad altri governi europei, le pene inflitte agli zingari che rifiutano di obbedire agli ordini appaiono decisamente meno severe che nel secolo precedente: non risultano infatti revoche di licenze e non viene emessa nessuna condanna a morte.

I tanti nomi degli zingari

In Francia gli zingari erano comunemente chiamati bohémiens per il fatto che i loro capi presentavano, come credenziali, le lettere del re di Boemia, oppure, come nel resto d’Europa, Egiziani. Questa denominazione era legata al fatto che loro stessi affermavano di provenire da una contrada lontana, di localizzazione incerta, detta Piccolo Egitto. Il termine «gitano» veniva invece usato in Spagna. In Italia si trovano documenti che li chiamano per la maggior parte zingari, «zengari» o «Aegiptiaci», o anche «cingari». Il termine «cingaro» è attestato dal 1556 e fatto derivare da «cinclo», un tipo di uccello. L’associazione tra il «cinclo» e lo zingaro si rifà a una tradizione secondo cui, essendo incapace di costruirsi il nido, quest’uccello può essere considerato il simbolo del vagabondo.

Il desiderio di cambiare vita

Dai verbali dei processi e dalle richieste di grazia emergono notizie importanti circa i costumi, il modo di vivere, i lavori che gli zingari dicono di esercitare, le condizioni sociali.

La loro vita appare caratterizzata da un continuo errare, che a volte, più che legato a motivi etnici, pare conseguente alla volontà di sopravvivere. In alcuni emerge, peraltro, un desiderio di diventare sedentari.

Taluni esibiscono un mestiere stabile e di un certo rilievo sociale: alcuni vendono e barattano, il mestiere più ricorrente è quello di fabbro ferraio. Dal linguaggio e dai nomi dichiarati sembra di poter dedurre che si tratti di zingari nati nella penisola italiana, nello Stato Pontificio e nella stessa Roma. È plausibile l’ipotesi che gli zingari del Cinquecento e del Seicento abbiano un’origine diversa rispetto a quelli della «prima generazione», citati nel Quattrocento. Emerge il ritratto di un «cingaro» fortemente inurbato e, in realtà, romano. La caratteristica peculiare dell’essere zingaro, ovvero il nomadismo, sembra relativa: la connessione con la vita della città appare assai rilevante. Parte di loro vive nelle case e si è ormai sedentarizzata, forse in seguito all’editto del 1631. In esso si affermava ancora la volontà della Chiesa, soprattutto per motivi di ordine pubblico, «di ridurre gli zingari dal loro vagare per la campagna al vivere civile e ad impegnarsi nella città in esercizi lodevoli coli quali sostenghino sé e le loro famiglie, honoratamente…». Se questo avverrà, il legislatore promette l’integrazione a tutti gli effetti, fino a spingersi addirittura al divieto che vengano chiamati zingari.

Il rione Monti di Roma ricorda, nel nome di alcune vie, come quella zona fosse divenuta punto di riferimento degli zingari: piazza e via degli Zingari presero il nome dagli effettivi residenti che vivevano nei secoli XVI e XVII come veri Romani. Questa zona era divenuta un quartiere di residenza in senso classico: testimonianza di una integrazione zingara con la città che, se pur dolorosamente e con fatica, era comunque avvenuta.

Caravaggio, Buona ventura, 1593-94. Roma, Pinacoteca Capitolina. Il soggetto è una zingara che legge la mano al cavaliere.

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