Sommario
Storia di copertina
Pericle era un dittatore e Cesare un democratico? - Introduzione Atene, il vizio di origine della democrazia Pericle, il princeps romano La demokratia nasce con un atto di violenza? La nostra democrazia è figlia di Atene? Cesare, il dittatore democratico Cesare, il principe è povero

Cesare, il principe è povero


L'autore
Paolo Mieli

Paolo Mieli (1949), giornalista e saggista, si occupa di politica e storia; è stato direttore dei quotidiani «La Stampa» e «Corriere della Sera». Tra le sue pubblicazioni: Le Storie, la storia. Dall’Atene di Alcibiade al Giubileo del 2000 (2000-2004), I conti con la Storia. Per capire il nostro tempo (2013).

Nel 1999, a 2100 anni dalla nascita di Cesare, furono pubblicati importanti studi sull’uomo politico romano.
Paolo Mieli ne esamina tre (fra i quali anche quello di Canfora sopra citato) e sottolinea un elemento rilevato dai diversi autori: i congiurati che uccisero Cesare non avevano compreso il carattere innovativo e forse lungimirante della sua politica, né l’ostilità di ampi strati di cittadini verso i privilegi dell’élite senatoria.

Il 1999 si è aperto con la pubblicazione di un libro di Luciano Canfora, Giulio Cesare. Il dittatore democratico, che ha avuto un grande successo. E si [è chiuso] con l’uscita di un altro Giulio Cesare, scritto da Martin Jehne, uno dei più stimati antichisti tedeschi. Ma è stato Luca Canali che, con un altro interessante saggio, Tra Cesare e Cristo – Misteri, atrocità, splendori di un secolo che cambiò il corso della storia, ha riaperto la discussione, sulla base di nuovi spunti e alcune originali riflessioni.
Canali ha definito una banalità l’attribuire esclusivamente all’ambizione e alla brama di potere di Cesare (come di ogni altro leader) gran parte del suo operato.
«Ogni uomo», secondo Canali, «ha ambizioni e brama di potere, in un ambito vasto ma anche nella sfera privata, la propria famiglia o l’ufficio in cui lavora; ciò che importa è giudicare se tale ambizione è soverchiante rispetto all’interesse collettivo, e quindi nefasta, oppure si contiene nell’ambito della giusta misura e si esplica in risultati positivi». «Se egli fu dunque ambizioso», conclude lo stesso Canali, «e bramò il potere (com’è probabile) seppe fare di questi difetti una molla per il raggiungimento di un obiettivo razionalmente stabilito e utile allo Stato». Ci troviamo, come si sarà capito da queste parole, nel campo degli estimatori di Cesare.

[...] Anche Martin Jehne è fortemente suggestionato dal paradosso che emerge dal confronto tra l’azione di Cesare e quella dei suoi uccisori in prospettiva sincronica e diacronica, ossia attraverso l’ottica dei contemporanei e attraverso quella dei successori. Cesare, nel giudizio dei suoi contemporanei, «commise un delitto» facendo ripiombare il mondo romano nella guerra civile per realizzare le proprie aspirazioni. Per questo la sua uccisione, secondo i criteri del tempo, «fu un atto propriamente nobile». «Se invece si guarda alle conseguenze a lungo termine», osserva Jehne, «Cesare gettando le basi del regime imperiale esce a testa alta rispetto ai cesaricidi con il loro sogno della vecchia repubblica che non aveva alcuna possibilità di realizzarsi e che al mondo romano altro non dispensò se non un decennio di guerre civili particolarmente sanguinose, che forse poteva essere evitato».
Ciò che accomuna tutti questi studiosi è la scarsa propensione a «salvare» i cesaricidi.
Jehne rinnova nei loro confronti l’accusa di aver avuto una «percezione offuscata della realtà». Critiche nei confronti di Cesare ce n’erano state, eccome. Ma «da occasionali manifestazioni di riprovazione del popolo contro le azioni di Cesare, i congiurati dedussero che nei confronti del suo dominio esisteva un’ostilità di fondo». Essi ritenevano che, tranne qualche ostinato cesariano, tutti vedessero nel governo di Cesare solo «un’angosciosa tirannide che doveva essere eliminata il prima possibile ». Le cose, però, non stavano così. La «libertà dello Stato repubblicano» era percepita dai più come «libertà della classe dirigente», in particolare come libertà dei senatori. Cosicché gli uccisori di Cesare dovettero accorgersi ben presto che la limitazione di quel genere di libertà lasciava indifferente la maggior parte dei cittadini.

In definitiva i congiurati più che aprire le porte al ripristino delle libertà repubblicane, com’era nelle loro intenzioni, spianarono invece la strada a Ottaviano Augusto e alla fine definitiva della repubblica.
[...] In chiave di opposizione alla memoria di Pompeo, sottolinea Canali, «subito dopo il conferimento della “dittatura perpetua”, quando tutti si aspettavano con terrore stragi e di nuovo liste di proscrizione, Cesare proclamò invece il regime della clementia, coerentemente con quanto aveva dichiarato all’epoca dello scontro finale con Pompeo». «Occorre tuttavia precisare», aggiunge Canali, «che gli anni della clementia, contrapposti a quelli del furor e della nequitia fino ad allora imperversanti, non costituirono tanto la manifestazione di un carattere debole, quanto la dichiarazione d’un obiettivo politico ritenuto possibile e rivelatosi invece prematuro». Quale? L’obiettivo di voltar pagina, di normalizzare il Paese, fargli percepire che era iniziata una nuova grande stagione. Non si accorse che il perdono generale era estremamente pericoloso? Sicuramente, almeno secondo gli studiosi di cui stiamo parlando, ne era consapevole. «Ma probabilmente», scrive Canali, «fu anche l’orgoglio a impedire a Cesare di ammettere che la sua politica, così apertamente e illuminantemente riformatrice, non era in grado di procurargli un collettivo consenso». «La clementia Caesaris fu dunque un errore politico e forse anche una manifestazione di presunzione: non dovettero essere pochi i conservatori, specie di alto rango, che si sentirono offesi, invece che gratificati, da quel dover essere debitori della vita alla “clemenza” del vincitore».

Quello di Cesare fu in questo senso il suicidio di un uomo di comando che, giunto all’apice dei suoi successi, non seppe fare i conti politici con gli strepitosi risultati delle sue imprese.

 

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