Sommario
Vita quotidiana
Un'infernale società rurale - Introduzione La vita degli uomini comuni: l’incubo della fame La vita dei ricchi: voglia di esagerare La vecchiaia: mai fidarsi dei giovani! Carnevale, giorni di straordinaria follia

La vita degli uomini comuni: l’incubo della fame


L'autore
Carlo M. Cipolla

Carlo M. Cipolla (1922-2000) è stato professore di storia economica a Berkeley, all’Istituto universitario europeo di Firenze e alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Formatosi a Parigi con Lucien Febvre, si dedicò allo studio di aspetti meno esplorati della storia medievale e moderna, alla storia della mentalità e della vita quotidiana. Tra le sue opere: Studi di storia della moneta. I movimenti dei cambi in Italia dal sec. XII al XV (1948), Verso il Far West, le esplorazioni dell’occidente nord-americano e la ricerca dei passaggi verso il Pacifico (1952), Velieri e cannoni d’Europa sui mari del mondo (1969), Storia economica dell’Europa preindustriale (1974), Il fiorino e il quattrino: la politica monetaria a Firenze nel Trecento (1982), Tecnica, società e cultura. Alle origini della supremazia tecnologica dell’Europa (XIV-XVII secolo) (1989), Miasmi e umori (1989).

Nell’Europa preindustriale la maggioranza della popolazione conduce un’esistenza grama: il loro aspetto macilento, rachitico, la loro pelle incartapecorita dimostrano gli stenti con cui vincono la battaglia per la sopravvivenza.

La gente comune spendeva per il vitto circa l’80 per cento del reddito familiare [...]. [Ciò] non significa che la gente comune mangiasse e bevesse molto e bene. Al contrario. La massa mangiava poco e male anche se riguardo al bere beveva male ma beveva molto. La documentazione superstite suggerisce che il 25-50 per cento circa della spesa per il vitto era rappresentata dalla spesa per il pane, il che significa una dieta povera. Il fatto è che il reddito era mediamente così basso che per la gente comune la spesa per un vitto poco più che miserabile assorbiva il 70-80 per cento del reddito stesso. Questo in anni normali. [...]

Quando il raccolto andava male e i prezzi di commestibili si impennavano anche spendendo il 100 per cento del proprio reddito l’uomo medio non riusciva a sfamare né sé né la propria famiglia. Allora era la carestia e al gente moriva letteralmente di fame.

La massa viveva in uno stato di fame endemica e sotto l’incubo permanente della carestia. Ciò spiega il valore simbolico del cibo nella società preindustriale. Uno dei caratteri che distingueva il ricco dal povero era che il ricco poteva mangiare a sazietà. Ciò che distingueva un avvenimento festivo – la festa del villaggio, la celebrazione di un matrimonio – dalla routine giornaliera era il banchetto. L’offerta generosa di cibo buono e abbondante era il segno più ovvio dell’ospitalità ed era anche il segno simbolico di rispetto, come quando per tradizione i neolaureati dovevano offrire un lauto pranzo ai propri professori, o una comunità doveva offrire un lauto pranzo al signore di passaggio, o ai suoi rappresentanti. In simili occasioni, per reazione alla fame che tutti temevano, alla fame che assediava la società, alla fame di cui si vedevano ogni giorno i segni sui volti emaciati della gente, si finiva fatalmente con l’eccedere nel pantagruelico. [...]

Pieter Bruegel il Vecchio, Raccolto (particolare), 1565. New York, Met

Se quando le cose andavano lisce per la maggioranza della gente, una miserabile alimentazione assorbiva l’80 per cento del reddito, ciò vuol dire che alla massa della gente poco restava da spendere per il resto. E pure in questo scarso resto bisognava far rientrare le spese per consumi indispensabili quali il vestiario e l abitazione. Nell’Europa preindustriale comprarsi un abito o il panno per farsi un abito rimase un lusso che la gente comune poteva permettersi poche volte nel corso di una vita. È un fatto che durante le epidemie di peste le autorità cittadine dovevano darsi da fare per riuscire a sequestrare gli abiti dei morti di peste e bruciarli: la gente aspettava che uno morisse per impossessarsi dei suoi abiti: il che il più delle volte serviva a diffondere l‘epidemia. [...] 

Ciò spiega perché anche l’abito avesse nella società europea dell’età preindustriale un valore simbolico. Chi vestiva bene era ricco. [...] Poiché il prezzo delle stoff e era elevato in relazione ai redditi correnti, la stessa «lunghezza dell’abito dipendeva in gran parte dalla posizione sociale». I nobili e i ricchi si distinguevano perché potevano indossare vesti lunghe. La gente comune per risparmiare indossava vesti che arrivavano al ginocchio. Il fatto di per sé essenzialmente economico, finì con l’acquisire un valore simbolico e fu istituzionalizzato. A Parigi i chirurghi si dividevano in due gruppi: i chirurghi veri e propri che avevano diritto di indossare la tunica lunga e i chirurghi-barbieri che non potevano portare tunica che scendesse oltre il ginocchio.

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