Sommario
Protagonisti
Fede e potere - Introduzione Il dramma privato di Lutero Carlo V, la gloria della sconfitta L’infaticabile Calvino Ignazio: ritratto di un duro Filippo II, «el Rey Prudente» Elisabetta, la regina vergine Il manager della carità

Elisabetta, la regina vergine


L'autore
Carolly Erickson

Carolly Erikson (1943), storica e scrittrice, ha insegnato Storia medievale alla Columbia University di New York. È una specialista del genere biografico. Tra le sue opere ricordiamo Maria Antonietta (1991), La grande Caterina (1995), Elisabetta I (1999), La piccola regina (2000), Maria la Sanguinaria (2001), Il grande Enrico (2002), L’imperatrice creola (2003), La zarina Alessandra (2005), Il diario segreto di Maria Antonietta (2006), L’ultima moglie di Enrico VIII (2009) e La vita segreta di Giuseppina Bonaparte (2011).

Ripudiata dal padre, scomunicata dal papa, protettrice dei pirati: Elisabetta I fu una donna determinata e fiera della propria indipendenza.

Il marchio della madre

Per buona parte della sua vita Elisabetta subì il peso dell’illegittimità, portò il marchio di essere la figlia di Anna Bolena, sposando la quale Enrico VIII fu scomunicato dalla Chiesa di Roma e fondò la Chiesa d’Inghilterra. Quando Anna Bolena venne ripudiata con l’accusa di aver stregato il re, di averlo tradito e di non avergli dato il figlio maschio che voleva, Elisabetta rimase l’unica prova ineliminabile dell’esistenza della madre: l’incarnazione della memoria del demonio. Non ebbe un’infanzia felice: visse a corte con la matrigna e la sorellastra Maria, ma quel marchio infamante non le consentiva di essere trattata come una vera principessa. Quando poi nacque Edoardo, l’erede maschio tanto atteso da Enrico VIII, Elisabetta fu praticamente dimenticata.

L’educazione

Elisabetta fu educata al dovere filiale, al riserbo sottomesso, a passatempi costruttivi ed ebbe solide basi di cultura classica. Leggeva Livio e Cicerone, conosceva il greco e l’italiano, traduceva e scriveva versi in latino. S’impegnava inoltre in lunghe pratiche di devozione religiosa.

Elisabetta era una bambina intelligente, apprendeva con facilità; tutti erano sorpresi della sua profonda cultura.

Una qualche influenza sulla sua personalità devono aver avuto anche le vicende cui fu costretta ad assistere: i discorsi che certamente ascoltò sulla condanna a morte di sua madre o i continui matrimoni di suo padre, per non dire della crudeltà con cui Enrico VIII trattava le sue mogli. A 14 anni Elisabetta aveva un carattere definito, con cui occorreva fare i conti: il suo carisma era allo stato embrionale ma già evidente; era una giovane attraente e queste virtù erano rafforzate da una singolare forza d’animo.

Elisabetta prigioniera

L’ascesa al trono di Maria complicò la vita a Elisabetta. Da sempre Maria, cattolica convinta, aveva dato segni d’intolleranza nei confronti della sorellastra. D’altra parte, Elisabetta rappresentava l’eresia, era la scomunicata, la figlia di quel demonio di Anna Bolena. Ma soprattutto rappresentava una minaccia per la stabilità del suo trono: Elisabetta iniziava infatti a raccogliere simpatie nel mondo protestante e come erede al trono rappresentava un’alternativa possibile. Entrambe le donne avevano motivi di preoccupazione per la propria vita: Elisabetta era nel mirino dei cattolici che temevano una successione protestante; Maria in quello dei riformati ostili ai suoi metodi violenti.

Quando a Londra giunse Filippo II come principe consorte di Maria, la situazione precipitò. Nel 1554 una rivolta protestante finì per coinvolgere la stessa Elisabetta, accusata di complottare con gli insorti. Fu l’occasione buona per metterla agli arresti. Nessuno avrebbe scommesso due soldi sulla sua vita quando fu trasportata alla Torre di Londra: per tutti quell’arresto era il preludio di una condanna a morte. Ma Elisabetta seppe difendersi con abilità e non si trovò lo straccio di una prova per mandarla a morte, quindi Maria fu costretta a scarcerarla.

Elisabetta intanto affinava il suo acume politico, forte delle esperienze vissute sempre sul filo del rasoio. Non aveva mai governato, ma la lettura dei classici le aveva insegnato molto sulle istituzioni, sulle società; l’osservazione della corte era stata una lezione pratica, seppure negativa, di sovranità.

Elisabetta regina

Di salute cagionevole, nel 1558 Maria si ammalò gravemente di idropisia (malattia caratterizzata dall’accumulo di liquido) che credeva una gravidanza. Si spense alle prime luci dell’alba del 17 novembre; a mezzogiorno Elisabetta fu proclamata regina in Parlamento. Alla notizia, i Londinesi diedero il via a sfrenate baldorie: era il giorno della loro liberazione. Nelle strade un bagno di folla esultante salutò la regina Elisabetta.

Al tramonto Londra si trasformò in un enorme banchetto a cielo aperto, illuminato da falò e rifornito di carne e bevande in abbondanza. Tutti brindavano alla salute della nuova regina.

Da Strasburgo e Ginevra i protestanti in esilio esultarono perché Dio aveva chiamato a sé la vecchia regina, consentendo alla sorella di governare al suo posto. Elisabetta entrò subito nel ruolo di regina: come un politico navigato prese le redini del potere. Era determinata e decisa a non farsi ostacolare da nessuno. Impartiva ordini e andava avanti per la sua strada.

Fu così anche quando tutti si aspettavano un matrimonio e degli eredi, per garantire la continuità del regno. Ma Elisabetta rifiutò ogni proposta. La fantasia popolare l’ha battezzata «regina vergine» per gli ostinati rifiuti ai numerosi pretendenti. Illustri personaggi chiesero la sua mano, a cominciare da Filippo II che, al di là degli interessi politici, trovava Elisabetta di un fascino insolito; ma lei non gli concedeva altro che la sua civetteria.

In realtà Elisabetta era sterile e sapendo di non potere avere eredi non intendeva dividere il suo regno con un ingombrante marito, tanto più se questo implicava il legame a una dinastia straniera.

Elisabetta I in un ritratto di Nicholas Hilliard (1547-1619), miniaturista e orafo di corte. Londra, Tate Gallery.

Elisabetta carnefice

Dal 1567 il regno di Elisabetta venne minato dalla presenza di Maria Stuart, sua cugina e regina di Scozia. Per la Chiesa cattolica era lei la vera erede al trono d’Inghilterra dal momento che Elisabetta non era stata riconosciuta legittima. Il problema si presentò in tutta la sua gravità quando Maria Stuart, costretta a fuggire dalla Scozia, si rifugiò proprio a Londra.

Elisabetta, che sapeva bene che cosa significasse essere la «seconda del regno» con tutte le tentazioni e gli intrighi che accompagnavano quella posizione, era preoccupata e prese le misure necessarie. Gli intrighi di Maria avevano infatti ridato voce ai cattolici e nel 1569 Elisabetta la fece imprigionare nella Torre di Londra. I diciotto anni di prigionia della Stuart trascorsero in continue macchinazioni, complotti e rivolte cattoliche finanziate dalla Spagna e dalla Chiesa di Roma.

Elisabetta rispose da un lato con l’esecuzione di esponenti cattolici e dall’altro mandando i suoi corsari a depredare l’oro e l’argento delle navi spagnole. Infine, all’ennesimo complotto contro la sua persona, Elisabetta abbandonò ogni esitazione e mandò la cugina al patibolo. Era il 18 febbraio 1587.

Maria volle morire come una martire, forse per cancellare con una morte esemplare le zone d’ombra della sua vita: davanti al boia indossò il vestito rosso dei martiri, sollevò alto il crocefisso e invocò il perdono per Elisabetta e per il popolo d’Inghilterra.

Gli ultimi anni

Sembrava che Elisabetta dovesse vivere in eterno. Giorno dopo giorno si alzava e partiva per lunghe passeggiate nei giardini e nelle riserve di caccia. Le piacevano le imprudenze, fare per spirito di contraddizione ciò che i medici le vietavano. Voleva dimostrare che le sue forze erano ancora buone e in piena efficienza.

Ma nel 1603, quando entrò nel settantesimo anno, fu colpita da una brutta depressione. Non sopportava più i discorsi di governo. Sentiva la morte vicina, rifiutava le medicine e si lasciava andare, stanca della vita. Fu un’agonia lunga ed estenuante che la portò alla morte il 23 marzo 1603 nel dolore generale.

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