Sommario
Protagonisti
Fede e potere - Introduzione Il dramma privato di Lutero Carlo V, la gloria della sconfitta L’infaticabile Calvino Ignazio: ritratto di un duro Filippo II, «el Rey Prudente» Elisabetta, la regina vergine Il manager della carità

Il dramma privato di Lutero


L'autore
Attilio Agnoletto

Attilio Agnoletto (1926-2006) allievo dello storico cattolico Mario Bendiscioli, ha insegnato storia del cristianesimo all’Università degli Studi di Milano. Si è occupato soprattutto di eresie, caccia alle streghe, storia dell’Inquisizione e, in particolare, della figura di Martin Lutero. Tra le sue opere ricordiamo: Lutero: la vita, il pensiero, i testi (1974), La tragedia dell’Europa cristiana nel XVI secolo (1996) e La stregoneria. Diavoli, streghe e inquisitori dal ‘300 al ‘700 (1991).

Una triste infanzia, l’angoscia per la presenza demoniaca del male, un matrimonio felice e sei figli (ma una figlia morta a soli quindici anni): queste le tappe di una vita vissuta in attesa di finire sul rogo.

Nascita e formazione

Martin Lutero nacque il 10 novembre 1483 a Eisleben, un piccolo centro minerario della Turingia (Sassonia). L’infanzia di Lutero non fu probabilmente felice. Sull’educazione peraltro allora non si scherzava e, com’ebbe a raccontare, più volte venne frustato fino a sanguinare: «Mio padre una volta me ne diede tante che io fuggii terrorizzato, fino a quando fece in modo di riguadagnare il mio affetto».

Il padre, un minatore che era riuscito a divenire proprietario di una piccola miniera, sperava che il figlio si avviasse a una delle professioni liberali cui s’accedeva attraverso gli studi giuridici. Fu perciò profondamente deluso quando Lutero, dopo aver frequentato per quattro anni l’università, ottenendo il grado di magister, decise di entrare nel convento degli eremiti agostiniani di Erfurt (1505).

Nel 1507 Lutero venne consacrato sacerdote e l’anno successivo iniziò l’insegnamento presso l’Università di Wittenberg, da poco fondata da Federico di Sassonia. Nel contempo cresceva il suo ruolo all’interno dell’ordine, che gli affidava vari incarichi di rappresentanza e predicazione. Proprio per svolgere uno di questi incarichi, nel 1510, si recò a Roma. La città e la corte pontificia non gli fecero certo una buona impressione. Tuttavia non bisogna attribuire troppa importanza a questo viaggio per la formazione di Lutero, che poteva vedere chiare testimonianze della corruzione del clero nella sua stessa patria. Ma se non fu la decadenza della vita ecclesiastica, che cosa fece di Lutero un temibile avversario della Chiesa?

Certamente la risposta va cercata nella sua particolare esperienza religiosa, nella sua ansia di «trovare un Dio misericordioso », nell’esaltazione con cui egli cercò nella vita monastica la certezza della propria salvezza.

La scoperta del Vangelo

Il monaco Lutero non trovò nel chiostro le risposte alle sue inquietudini: angosciato dalla presenza demoniaca del male, egli tremava di fronte alla suprema maestà di Dio, ne temeva il giudizio, terrorizzato dalla paura di non potersi liberare dal peccato. E per quanto si impegnasse nello studio della Scrittura – di cui acquisì presto una straordinaria conoscenza – e s’applicasse con zelo esemplare ai rigori della vita ascetica, disperava della propria salvezza: «Ma io – scrive – pur comportandomi come monaco irreprensibilmente, sentivo di essere, di fronte a Dio, peccatore della più irrequieta coscienza e non potendo nutrire fiducia che egli potesse essere soddisfatto dalle mie opere, io non amavo questo Dio giusto che punisce i peccatori, anzi l’odiavo e, pur non bestemmiando, mi sdegnavo contro di lui...».

Questo dramma interiore venne superato tra il 1513 e il 1514 da quella che Lutero definì la «scoperta del Vangelo», la scoperta cioè del suo vero senso, colto attraverso la meditazione su un passo della Lettera ai Romani (1,17) di san Paolo: «Finalmente, per misericordia di Dio, a furia di riflettere giorno e notte sulla connessione e il significato di quelle parole – “La giustizia di Dio è rivelata nel Vangelo” e “Il giusto vive per la fede” – cominciai a comprendere che la giustizia di Dio è quella per cui il giusto vive per la grazia di Dio, cioè della fede che egli ci dona».

In altri termini, Lutero comprese che l’uomo non era costretto a compiere opere per salvarsi: non gli si chiedeva altro che la fede nella misericordia di Dio, che era l’unica via di salvezza. Solo nella fede il cristiano poteva finalmente trovare la fine di ogni angoscia.

Ritratto di Lutero, opera di Lucas Cranach. Milano, Museo Poldi Pezzoli.

Una proposta inaspettata

Mentre combatteva i nemici della Riforma, trovò anche il tempo di sposarsi. Lutero era rimasto infatti celibe fino al 1524, anche se non si era opposto al matrimonio di preti o suore che avevano abbandonato parrocchie o conventi per seguire il luteranesimo. Proprio una ex suora divenne sua moglie: si chiamava Katharina von Bora, e della sua sorte Lutero si era interessato già dal 1523, quando la ragazza aveva lasciato il convento insieme ad alcune consorelle.

Lutero aveva cercato per tutte un marito o un lavoro: Katharina, che aveva già 26 anni, era rimasta l’unica non sistemata: non si riusciva a trovare per lei una soluzione accettabile. Venne allora fatto un ultimo tentativo proponendo a Katharina di sposare un certo dottor Glatz: lei lo rifiutò, dicendo però che non le sarebbe dispiaciuto sposare Amsdorf, un collaboratore di Lutero, o lo stesso Lutero. Non si conosce esattamente il senso di questa affermazione: probabilmente Katharina li aveva citati perché erano fuori causa, avendo superato l’età normale del matrimonio. Lutero aveva infatti 42 anni.

In ogni caso, Lutero non intendeva sposarsi per non suscitare feroci critiche da parte dei cattolici, finché non andò a casa a visitare i suoi genitori. Quello che raccontò probabilmente come un buffo scherzo, suo padre lo considerò una proposta concreta: aveva sempre desiderato che suo figlio perpetuasse il nome della famiglia. Ma l’idea cominciò a sembrare interessante a Lutero per una ragione ben diversa: se era destinato a salire sul rogo non era certo la persona adatta a fondare una famiglia, ma sposandosi poteva a suo tempo mettere a posto Katharina e dare una testimonianza della propria fede.

Ritratto di Katharina von Bora, opera di Lucas Cranach. Milano, Museo Poldi Pezzoli.

Un matrimonio felice

I due si sposarono nel giugno del 1525 e, come talora accade con i matrimoni che non scaturiscono da un «colpo di fulmine», il matrimonio di Lutero si rivelò nel tempo sempre più felice.

Dall’unione nacquero sei figli. Katharina fu una moglie dolce ed esemplare, attenta a compiacere un marito dal carattere non certo facile e a gestire la loro casa, il vecchio convento di Lutero a Wittenberg.

Katharina, oltre a prendersi cura del marito e dei figli, provvedeva all’allevamento degli animali, li nutriva, li macellava anche; conosceva le proprietà delle erbe e ne sapeva fare uso medico. Lutero soffriva d’insonnia ed ecco Katharina pronta a consigliargli di sostituire il vino con la birra che è sedativa. Forse per questo Lutero dimostrò sempre una predilezione per la «forte birra tedesca», opponendola in qualche modo al vino del Sud, la terra dei papisti e dei «mangiaverdure»!

Katharina era cosciente della statura intellettuale e morale di Lutero; d’altra parte la vita stessa di casa Lutero, centro della Riforma, era lì a ricordarglielo continuamente. Per questo non dava del tu al marito, ma usava un rispettoso voi.

Negli ultimi anni della sua vita, Lutero dovette assistere alla morte di una figlia di soli quindici anni, dividendosi tra il dolore per quella perdita e la certezza che sua figlia era giunta in paradiso. Con questa fiducia si diede a consolare la tristezza della mamma Katharina: «È meraviglioso sapere che lei è in pace, che lì sta bene e ottimamente, e tuttavia è così doloroso!». Nel 1546 venne chiamato a Mansfeld per risolvere il contrasto tra due prìncipi locali; la sua mediazione ebbe successo, ma si ammalò e morì d’infarto ad Eisleben il 18 febbraio 1546. Aveva da poco compiuto 62 anni.

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