Sommario
Protagonisti
Fede e potere - Introduzione Il dramma privato di Lutero Carlo V, la gloria della sconfitta L’infaticabile Calvino Ignazio: ritratto di un duro Filippo II, «el Rey Prudente» Elisabetta, la regina vergine Il manager della carità

Il manager della carità


L'autore
Luigi Mezzadri

Luigi Mezzadri (1937), sacerdote e professore di storia della Chiesa alla Pontificia Università Gregoriana e ora docente di storia della diplomazia pontificia presso la Pontificia Accademia Ecclesiastica. Ha curato l’edizione italiana del volume di Storia della Chiesa di Fichte e Martin; fra gli scritti San Vincenzo de' Paoli (1986) e La Chiesa e la Rivoluzione francese (1989).

Contadino dalla vocazione incerta, divenne sacerdote per aiutare se stesso e la sua famiglia. Ma riuscì in un’impresa molto più grande: fondò una moderna organizzazione di assistenza sociale.

Una vocazione incerta

Nell’ambiente contadino da cui Vincenzo de’ Paoli proveniva la religione era vissuta più come superstizione e paura che come autentica fede. Si ricorreva a Dio nei momenti del bisogno, per auspicare un buon raccolto o per scongiurare un clima avverso. La vita nelle campagne del Seicento era faticosa e difficile, i contadini lavoravano dall’alba al tramonto, si nutrivano quasi esclusivamente di pane, vino e qualche verdura. Vincenzo, terzo di sei figli di una famiglia contadina, fino a quindici anni, visse in queste condizioni.

Nacque nel 1581 in un villaggio vicino a Dax, nel dipartimento delle Lande, nel Sud-ovest della Francia. Avrebbe continuato quella vita se i genitori non si fossero accorti della sua intelligenza. Decisero quindi di farlo studiare. Se fosse entrato nello stato ecclesiastico, avrebbe potuto far fortuna. I preti erano allora al riparo dalla fame e dalla povertà. Entrò quindi in un piccolo collegio di padri francescani vicino a Dax. Nel 1596 ricevette gli ordini minori. Proseguì gli studi in teologia. Nel 1600 riuscì a ottenere il sacerdozio.

L’ordinazione a soli 19 anni (la norma ne prevedeva almeno 24) dimostrò che per lui il sacerdozio era solo la prima tappa dell’ascesa sociale. Non una vocazione. Non ancora una missione.

Negli anni successivi, Vincenzo si impegnò intensamente per ottenere un beneficio ecclesiastico. Voleva superare quella condizione di «contadino povero» che più volte lo aveva fatto vergognare e voleva essere d’aiuto alla sua famiglia.

Iniziò a viaggiare: da Dax si trasferì in varie città della Francia, finì a Tolosa poi a Marsiglia, certamente per due volte a Roma.

Fino al 1612, Vincenzo visse anni molto difficili. Attraversò una grave crisi spirituale, turbato da allucinazioni e fantasmi; si sentiva fallito e inutile. Ne uscì solo quando, nella parrocchia di Clichy alla periferia di Parigi, iniziò la sua attività pastorale. Qui trovò finalmente la sua strada: predicava con entusiasmo, scoprì la missione del sacerdozio.

La svolta

La vera svolta avvenne a Châtillon-les- Dombes, il 20 agosto 1617. Vincenzo era parroco di questo villaggio. Stava per iniziare la messa quando venne a sapere che in un casolare un’intera famiglia stava morendo nella più assoluta indigenza. Vincenzo si rivolse ai parrocchiani chiedendo di impegnarsi per quei poveretti. Moltissimi accolsero l’invito: il pomeriggio, quasi in processione, si diressero verso la casa della famiglia ammalata.

Vincenzo si rese conto che gli uomini generosi e caritatevoli non mancavano, ciò che mancava era l’organizzazione. Tutti portavano qualcosa, c’era una grande abbondanza di aiuti ma occorreva che quell’impegno continuasse anche nei giorni successivi, per sempre. Così decise di riunire i parrocchiani in una associazione. Diede loro un preciso regolamento: dovevano tassarsi, organizzare il lavoro secondo dei turni, tenere la contabilità. Ogni giorno, una delle donne doveva preparare un pasto e portare personalmente il cibo all’ammalato, apparecchiargli una tavoletta sul letto e aiutarlo a mangiare.

Era un’associazione laica, che Vincenzo chiamò Confraternita della Carità.

L’iniziativa rappresentò una grande novità nel panorama dell’assistenza nel Seicento. I poveri erano generalmente rinchiusi in ospedali, considerati esseri fastidiosi, contagiosi, criminali. La società del Seicento non si interrogava sulle cause della miseria, pensava di risolvere il problema della mendicità segregando i poveri in strutture simili a carceri. I poveri, insomma, erano ritenuti elementi pericolosi, asociali, criminalizzati e reclusi.

Vincenzo rivoluzionò questo concetto: i poveri e i malati dovevano essere rispettati e lasciati nel loro ambiente. La società non li doveva recludere né escludere, ma assistere. In breve tutta la Francia fu disseminata di gruppi chiamati semplicemente «le carità».

La fede come azione

La fede come azione concreta e tangibile divenne il principio guida di Vincenzo e dei suoi fedeli. Si assunse l’incarico di evangelizzare le campagne e di riformare il clero. C’erano preti viziosi, privi di istruzione e senza impegno pastorale. Vincenzo fondò una congregazione di  sacerdoti, «i preti della missione», che utilizzavano un nuovo metodo di azione pastorale: nessun discorso pomposo, come era abitudine allora, solo parole semplici e dirette. I missionari, di villaggio in villaggio, predicavano l’amore per i sofferenti, la cura dei malati, la carità verso i poveri, insegnavano al clero delle campagne la liturgia cattolica. Lo stesso principio valeva verso i galeotti, i trovatelli, gli schiavi, i malati di mente. A chi entrava in quegli antri pericolosi e maleodoranti che erano le carceri, i lazzaretti, gli orfanotrofi, gli ospedali Vincenzo insegnò l’assistenza senza falsi pudori: si trattava di frequentare ambienti innominabili, fra gente rozza dal linguaggio grossolano; bisognava saper patire angherie e insulti.

Quando la Francia intervenne nella guerra dei Trent’anni, per le popolazioni dei territori devastati e saccheggiati Vincenzo organizzò i soccorsi come una campagna militare. A Parigi le dame furono incaricate di raccogliere i fondi, di curare i bilanci. A Toul fu fissato il comando delle operazioni. Il problema più difficile era riuscire a far giungere le somme di denaro nelle zone operative. Le strade erano insicure, piene di sbandati e di banditi. Venne incaricato un fratello, Matteo Regnard, detto «Renard», cioè «volpe», per la sua furbizia nell’evitare i pericoli del viaggio. Era un uomo straordinario, capace delle astuzie più incredibili pur di far pervenire ai missionari il denaro necessario. Fece 50 viaggi in dieci anni, portando con sé una bisaccia con 20 o 30 mila lire. Fu più volte sul punto di essere derubato, ma ogni volta riuscì a cavarsela. Il denaro arrivava regolarmente e i missionari potevano assistere i poveri delle zone di guerra, preparando pane e zuppe per migliaia di affamati.

La modernità di Vincenzo

L’opera di Vincenzo de’ Paoli proseguì anche dopo la sua morte nel 1660. Quell’impostazione di carità, di apertura verso il mondo degli emarginati aveva un senso non solo religioso. Grande fu l’idea di dare una struttura laica all’associazione di dame. Riuscì così a scavalcare la norma ecclesiastica che voleva le monache solo in clausura, non attive nel mondo perché ritenute incapaci e fragili. Importante risultò l’opera di riforma e di istruzione del clero, attraverso lezioni a cadenza settimanale, in un’epoca in cui anche tra gli ecclesiastici la superstizione e l’ignoranza erano diffuse.

L’idea che i poveri non sono responsabili della loro condizione, che il loro stato va soccorso e non criminalizzato, è un’intuizione che anche il mondo contemporaneo ha fatto propria. In quest’ottica Vincenzo de’ Paoli fondò centri di riabilitazione al lavoro per i disoccupati. Con lo stesso spirito si dedicò all’istruzione dei ragazzi e delle ragazze dei villaggi. Vincenzo fu uomo di grande modernità con un ritmo di vita intenso, dal talento organizzativo, abile trascinatore e formatore, capace di utilizzare i grandi e i potenti per aiutare i più deboli. Un santo «manager».

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