Sommario
Storia di copertina
Incontri e scontri di civiltà: vino, birra o niente? La cultura alimentare nel Medioevo I Germani visti dai Romani Diffusione della birra e identità cristiana del vino “Questo non lo posso mangiare!” Il digiuno e l’astinenza nella Chiesa Le regole alimentari islamiche

“Questo non lo posso mangiare!”


Nella religione ebraica esistono precise regole circa i cibi che si possono consumare. Queste regole sono fondate sulla Torah, il testo sacro dell’ebraismo.

Raccolta di erbe amare e scena di banchetto in una miniatura tratta dalla cosiddetta Rylands Haggadah, manoscritto realizzato in Spagna all’inizio del XIV secolo.

La normativa ebraica sul cibo è detta kasherut. L’aggettivo kasher o kosher, che significa adatto, conforme, opportuno, indica quei cibi che si possono consumare appunto perché conformi alle regole; il contrario di kasher è taref. In origine questa parola indicava la carne degli animali uccisi da bestie predatrici; in seguito è passata a indicare tutti quegli animali che, non macellati secondo le regole alimentari ebraiche, restano proibiti.
La kasherut è sostanzialmente fondata sulla Torah e sull’interpretazione che di essa i rabbini hanno fornito. Quando Dio creò l’uomo, lo concepì originariamente come un essere vegetariano, pur se sovrano di tutti gli animali. In effetti, la normativa ebraica sul cibo è centrata sulla questione dell’alimentazione carnivora: se non fosse per il consumo di carni, in pratica non esisterebbe. La carne entra a far parte dei cibi concessi all’uomo solo dopo il Diluvio, con Noè. Sono lecite le carni di quei quadrupedi che hanno l’unghia fessa e che ruminino (come il vitello, ma non il maiale o il coniglio). I volatili sono quasi tutti leciti, salvo i rapaci, proibiti probabilmente per il loro contatto con il sangue delle prede. Sono illeciti tutti quegli animali che strisciano o hanno contatto stretto con il suolo, come il topo, il serpente, le lucertole e gli insetti, tranne alcuni tipi di cavallette permessi in particolari zone. Per quanto riguarda gli animali acquatici, si possono mangiare tutti quelli che hanno pinne e squame: sono quindi proibiti i molluschi, i crostacei, i frutti di mare e i pesci di dubbia conformazione, come la coda di rospo, che non presenta squame, o l’anguilla.
Gli animali permessi devono essere macellati secondo precise regole: è la cosiddetta shechitah, cioè la macellazione rituale. Colui che esercita il mestiere di macellaio rituale, lo schochet, deve avere la competenza per farlo, deve cioè conoscere approfonditamente le regole ed essere dotato della licenza fornita dai rabbini. La macellazione ebraica prevede l’uccisione dell’animale con un solo taglio alla gola eseguito con un coltello affilatissimo, in modo da provocarne l’immediata morte e il completo dissanguamento. Successivamente vengono esaminati gli organi interni dell’animale per controllare che non ci siano difetti o tracce di malattia che lo rendano impuro: questa operazione si chiama bediqat, controllo. Ogni animale non macellato secondo le regole è automaticamente impuro, illecito.

Un’altra regola importante è quella che sancisce il divieto di mescolare carne e latticini nello stesso pasto. La Torah in ben tre passi raccomanda di non cuocere “il capretto nel latte di sua madre”. Partendo da questa norma, la tradizione rabbinica ha proibito la commistione nello stesso pasto di latte (o dei suoi derivati) e carne di qualunque animale; per questo gli Ebrei osservanti hanno due servizi di piatti e stoviglie diversi, scomparti distinti in frigorifero, addirittura lavelli, spugne e lavastoviglie separati.

Per quanto riguarda le bevande, il vino kasher non richiede particolari procedure di preparazione o di invecchiamento, ma è stato semplicemente sorvegliato nel corso delle varie fasi di lavorazione, dalla spremitura all’imbottigliamento, per evitare il contatto con sostanze considerate impure.

La macellazione rituale ebraica (shechitah) in una miniatura del XV secolo.
 

Condividi